Atom Made Earth – Border of Human Sunset (2014)
Ultimamente, mi sto rendendo sempre più conto di come le mie Marche siano estremamente vitali, per quanto riguarda il mondo del rock/metal più d’atmosfera e psichedelico: ci sono infatti molte band da queste parti che nel tempo hanno intrapreso il genere, anche se con varie sfumature che spaziano da sonorità pesantemente nichiliste e confinanti col metal estremo allo stoner/post- rock più aperto ed espanso. E’ proprio a quest’ultima la categoria a cui appartengono i musicisti di oggi, gli Atom Made Earth: il sound che questa band di Castelfidardo (Ancona) intraprende è infatti piuttosto tranquillo e placido, passando da uno space rock di chiara inclinazione post a qualcosa di più heavy, post-metal a tutti gli effetti, seppur disteso e senza praticamente aggressività. E’ anche per questo che il primo passo discografico del gruppo, il live/full Border of Human Sunset, è un disco in cui è facile perdersi, rilassato ma senza lesinare anche qualche momento più oscuro che gli dà un tocco di efficacia in più. Ovviamente, il lavoro non è esente da pecche: su tutti, il maggiore una produzione sonora leggermente piatta e secca, che però non è solo giustificabile dal fatto che l’album sia stato registrato in un’unica take dal vivo in studio (peraltro filmata e disponibile anche in formato DVD!), ma comunque non interferisce troppo con l’intento di pura atmosfera del gruppo. Anche gli altri piccoli problemi del disco non incidono poi granché sul risultato finale: tutto ciò significa di fatto che Border of Human Sunset è, come vedremo tra poco, un lavoro solido e coinvolgente, che riesce a muoversi su livelli decisamente alti.
Il preludio di rito Ghost T è un pezzo lieve e quasi ambient, non presentando altro che una chitarra leggera e qualche effetto, che consente all’ascoltatore un ingresso tranquillo nell’atmosfera del disco. L’esordio della batteria di Thomas Testa segna quindi l’arrivo in scena della prima canzone vera, Atom Made Earth, che vede un’ulteriore introduzione, ancora piuttosto soffice e lenta, in cui si mette in mostra la chitarra dal vago retrogusto blues di Daniele Polverini. Quest’ultima si appesantisce e si distorce man mano fino a che il brano non entra nel vivo con un lento e solenne riff post-metal di discreta potenza, seppur votato alla creazione di un atmosfera eterea ed espansa, coadiuvato in questo anche dalle vocals dello stesso Polverini, così piene di effetti da risultare incomprensibili e distortissime, anche se è comunque notevole il loro uso quasi come fossero un ulteriore strumento. Su questa prima lunga frazione si aprono ogni tanto momenti più energici e dall’appeal leggermente più oscuro, grazie anche alla prepotente prestazione della sezione ritmica ed in particolare del bassista Lorenzo Giampieri, che però non spezzano la psichedelia della traccia, rendendola anzi meno ripetitiva e più efficace. La seconda metà della canzone è invece meno serena e più crepuscolare, e dopo un bellissimo tratto celestiale e di gran energia, che ricorda addirittura l’avant-garde metal più spaziale, la musica perde gran parte della sua potenza per farsi molto più tranquilla ed intimista, anche se paradossalmente pure più cupa che in passato. Raggiunto il picco della sofficità, il tutto torna quindi a svilupparsi con energia, con ancora il possente ed oscuro basso di Giampieri a farla da padrone; sembra che la song debba riesplodere di nuovo con forza metal, ma invece essa resta per un po’ su più d’atmosfera per poi tornare ancora una volta lieve, spostandosi su coordinate stavolta puramente post-rock, che perdono in parte l’atmosfera cupa precedente in favore del recupero di una certo feeling etereo e psichedelico. Ottimi in questo frangente gli assoli della tastiera dell’ottimo Nicolò Belfiore, dal flavour prepotentemente space, e di Polverini che torna con qualche spunto blues, con il tutto a rappresentare la giusta quadratura per un pezzo eccelso che riesce ad avvolgere a meraviglia l’ascoltatore.
Thin si apre sullo stesso mood con cui la precedente si è conclusa, con un lungo preludio in cui dominano suoni di chitarra e di tastiera spaziali e vagamente oscuri, alienanti, che si appesantiscono man mano fino alla deflagrazione del pezzo vero e proprio. Quest’ultima ha luogo con l’ingresso di riff a tratti anche molto pesanti, metal a tutti gli effetti, seppur di nuovo non si cerchi l’incisività ma l’evocazione di un’atmosfera lugubre e densa (cosa che peraltro riesce a meraviglia), come ben si capisce dagli effetti di Belfiore, sempre in primo piano sopra alle ritmiche. Per tre quarti la canzone si muove su questa falsariga, per poi dissolversi improvvisamente: la sezione ritmica scompare, ed in scena restano solo gli effetti di Belfiore e la chitarra drone echeggiata e distortissima di Polverini, su cui a tratti fa capolino anche un campionamento preso chissà dove, seguito subito dopo da un assolo orrorifico che si staglia potente nel vuoto. E’ quest’ultimo il preludio all’assalto conclusivo, che riprende brevemente la parte iniziale per poi andare a concludere un altro episodio ottimo.
Nonostante la lunghezza piuttosto elevata (cinque minuti e e mezzo), Augusta sembra essere più un interludio che una canzone vera e propria, anche se comunque ciò non le toglie nulla. Questo brano è infatti dominato, su un tappeto di lievi effetti (in cui a tratti si inserisce anche qualche percussione), dall’intreccio tra i lead della chitarra di Polverini, eterei e malinconici, ed il pianoforte di Belfiori, che a tratti prende il sopravvento con brevi accelerazioni che dimostrano la sua abilità non banale; il tutto evoca una sensazione di tranquilla nostalgia, particolare ma molto piacevole. Nonostante a questo punto non sembri, siamo già agli sgoccioli: dopo un preludio di lievi tastiere punteggiato da echi di chitarra, Oceanic Side pt. 1 comincia una progressione lenta che da un certo minimalismo iniziale la conduce, addensandosi, fino alla norma principale, in cui riff espansi e spaziali, seppur pienamente elettrici, corredano la voce profonda ed echeggiata di Polverini, in un viaggio estremamente psichedelico che vive dell’alternanza momenti più intimisti ed intensi, evocati da una deriva soft e quasi serena della musica, ed altri più eterei e pesanti, con il tutto che si evolve quasi privo di una logica, ma senza comunque mai sembrare lasciato a se stesso, l’incastro delle parti è anzi molto buono. Il tutto prosegue per circa nove minuti che però volano letteralmente, grazie ad una struttura semplice ma con piccole variazioni che la rendono sempre interessante: la più evidente tra queste ultime è quella posta nel finale, che si fa più agitato e misterioso, preludio alla coda Oceanic Side pt. 2. Questa, senza soluzione di continuità, si avvia subito dopo come un pezzo inizialmente molto più post-rock della precedente, seppur presto appaiano chitarre distorte, un coro lugubre ed il suono sintetico di un violino che ne accentano la carica misteriosa e spaziale. L’episodio va avanti con la stessa base ritmica parecchio a lungo, coinvolgendoci in un trip che non si interrompe nemmeno quando la musica vira nel finale su un post-metal più heavy seppur ancora molto space-oriented, prima che il tutto scompaia in un vortice di effetti i quali infine, dopo quasi un quarto d’ora, giungono a concludere il pezzo forse meno convincente dell’album, ma che comunque ha pochissimi momenti morti e lascia un’ottima impressione dietro di sé.
Oltre al lieve problema della produzione, il principale difetto di Border of Human Sunset è alla fine dei giochi la sua lieve inconsistenza, visto che i brani effettivi sono solo tre (quattro contando anche Augusta); è proprio questo il motivo per cui quest’album riesce solo a sfiorare il capolavoro, senza riuscire ad arrivarci per un pelo. Di fatto, gli Atom Made Earth hanno potenzialità elevate, che in un mondo giusto potrebbero condurli molto, molto lontano. Certo, la situazione della musica (e soprattutto del rock/metal underground) in Italia è quella deprimente che conoscete, ma chissà che un po’ di fortuna non possa capitare, ogni tanto!
Voto: 89/100
- Ghost T – 01:52
- Atom Made Earth – 14:25
- Thin – 07:34
- Augusta – 05:35
- Oceanic Side pt. 1 – 09:25
- Oceanic Side pt. 2 – 05:28
- Daniele Polverini – voce, chitarra ed effetti
- Nicolò Belfiore – tastiere e pianoforte
- Lorenzo Giampieri – basso
- Thomas Testa – batteria