(EchO) – Head First into Shadows (2016)
Pubblicato · Aggiornato
PRESENTAZIONE | Head First into Shadows (2016) è il secondo album dei bresciani (EchO) |
GENERE | Un mix di gothic, doom e death metal che si rifà di base a My Dying Bride e Novembre, ma il gruppo lo conducono su lidi dilatati, onirici, atmosferici, grazie anche a influssi post-metal. |
PUNTI DI FORZA | Uno stile che è un ibrido ben fatto tra vari elementi, ben mescolati e funzionali alle atmosfere del gruppo, ricercate e piene di sfumature. Una scaletta che è un’unico viaggio onirico molto fascinoso. |
PUNTI DEBOLI | Non tutto è memorabile, e ogni tanto l’album si perde, seppur non sia un gran difetto. |
CANZONI MIGLIORI | This Place We Used to Call Home (ascolta), Beneath this Lake (ascolta), Gone (ascolta) |
CONCLUSIONI | Head First into Shadows rasenta il capolavoro, e saprà fare la felicità di quei pochi intenditori che riusciranno a penetrarlo! |
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Un oceano musicale in cui perdersi. È una descrizione molto calzante per Head First into Shadows, secondo album degli (EchO) uscito lo scorso 23 maggio. Nati a Brescia nel 2007 col nome provvisorio di Echoes of Perdition, dopo un paio di demo di rito e i soliti assestamenti della lineup esordiscono sulla lunga distanza nel 2011 con Devoid of Illusions. Due anni dopo il gruppo torna quindi in studio, per una sessione di registrazione lunga oltre due anni e mezzo, funestata dall’abbandono del cantante fondatore Antonio Cantarin nel 2015, sostituito presto da Fabio Urietti. Nonostante il problema, però, gli (EchO) sono rimasti ben focalizzati: ne è la riprova proprio Head First into Shadows. Come già detto, è un lavoro dentro cui ci si perde: i bresciani suonano come una jam tra i My Dying Bride e i Novembre, in versione però dilatata e onirica. Se infatti la loro base di partenza è un gothic/doom/death metal molto melodico e con una piccola vena progressive, il gruppo lo stira fino a raggiungere lidi atmospheric doom. Nel processo, il genere si arricchisce di alcune influenze: la principale è quella post-rock, che fa pendere fortemente gli (EchO) verso il post-metal più d’avanguardia. Il tutto è funzionale alla creazione di atmosfere espanse e delicate, che sono sempre al centro: Head First into Shadows non è mai brutale, nemmeno nei momenti più orientati verso il death metal. È proprio per questo che, più che godere della potenza dei riff si tende a lasciarsi andare al flusso della musica, il che è uno dei grandi pregi dell’album ma in certi casi rappresenta anche il suo unico difetto. A volte infatti lunghe frazioni passano del tutto lisce, senza quasi lasciare traccia di sé nella memoria dell’ascoltatore anche dopo tante volte. L’assenza di quel paio di brani che facciano la differenza in effetti pesa molto sull’album, e non gli consente di arrivare al livello di capolavoro. Tuttavia, gli (EchO) riescono a sfiorarlo: come vedrete nel corso della recensione, Head First into Shadows è il classico album impenetrabile, visto il gran numero di sfumature diverse, ma sa dare tanto se si ha la pazienza di ascoltarlo decine di volte.
L’iniziale Blood and Skin entra nel vivo molto lentamente, partendo da un intro vuoto dall’appeal post-rock, che va avanti a lungo prima dell’entrata in scena del metal. Anche in questo caso però è la melodia che domina: la norma infatti è placida, gothic tranquillo e malinconico. Questa base cambia spesso e vede a tratti aperture soffici, in cui la protagonista è la voce soffice di Urietti su un tappeto lieve ma emotivamente carico. In altri tratti invece la storia diventa più potente, con l’entrata di cupi stacchi obliqui a tinte death/doom, non potentissima ma che compensano a livello di atmosfere. Queste tre anime si alternano al comando di un pezzo in fondo abbastanza lineare, presentando giusto qualche passaggio diverso. Non che sia un problema: abbiamo infatti un apertura di ottimo livello. La struttura portante della successiva This Place We Used to Call Home è puramente post-rock, con un lieve ascendente progressive. Lo si vede bene nelle lunghe strofe, in cui dominano gli intrecci delicati e fascinosi delle chitarre di Simone Saccheri e Mauro Ragnoli, che assumono di volta in volta un gusto prog, folk, blues, post, e delle tastiere di Simone Mutolo. Di tutt’altro aspetto sono invece i ritornelli, di gran potenza, con un riffage quasi evocativo su cui il frontman mostra il suo growl cavernoso. La stessa tensione si ritrova in parte anche in passaggi strumentali doomy che li seguono, e che con il loro pathos risultano la parte più riuscita del pezzo a pari merito col finale, che raggruppa in sé tutte le sue suggestioni. Non che il resto sia da meno: abbiamo un episodio splendido, uno dei migliori in assoluto di Head First into Shadows. Giunge quindi Beneath This Lake, più orientata verso il metal delle precedenti, come mostra il riff portante scandito all’inizio, oscillante come da norma gothic/doom. È la base che regge anche i ritornelli, potenti e denotati dal growl (qui gestito da Urietti in duetto con Daniel Droste degli Ahab), anche se di sicuro non sono aggressivi: in essi il mood è intenso, lancinante. C’è però spazio anche per lunghi passaggi soffici e malinconici, con echi di chitarra su un ritmo lentissimo e un mood depresso, spettrale ma non freddo, che aleggia sempre. Passaggi lievi e altri pestati si alternano diverse volte, mantenendo per oltre metà traccia un equilibro che poi però si spezza. L’aura si fa di colpo cupa, aliena, fredda, quando entra in scena un riffage grasso e martellante, quasi groove metal se non fosse il contesto in cui è inserito. La musica si acquieta quasi subito, per una frazione lieve e misteriosa, dall’appeal ultraterreno, che va avanti a lungo prima che la potenza delle chitarre torni alla carica, accoppiata a una tastiera altrettanto ossessiva. È un finale davvero alienante e di gran potenza, uno dei momenti topici del disco, ma anche la prima parte del brano è ottima, e il risultato è un pezzo appena sotto ai migliori della scaletta.
L’intro di Gone disegna una melodia dolce e lontana, immaginifica, che subito dopo le chitarre distorte riprendono. È l’inizio di una progressione di riff e lead a tratti anche piuttosto energica, in altri momenti invece molto atmosferica, il tutto all’insegna della nostalgia. È un sentimento che non sparisce quando la traccia entra nel vivo, con la solita alternanza a cui gli (EchO) ci hanno abituato. Le strofe sono infatti leggere, post-rock apparentemente scarno e basilare, anche se il lavoro nascosto di Mutolo è notevole. I ritornelli svoltano invece su qualcosa di più arcigno, di ascendente death, che porta un velo di oscurità sulla musica, anche se il pathos non scompare mai. Esso anzi si fa anche più forte quando le due anime si unificano, per un momento etereo e celestiale, magnifico. Non siamo ancora all’apice, però: dopo tutto si è spento, parte un crescendo che sale sempre più non solo in densità musicale ma anche in emozioni, una progressione eccezionale che ricorda da lontano i migliori Agalloch. In particolare, rimanda al gruppo americano il finale, vorticoso e dai vaghi accenni black in mezzo alle partiture gotiche e post-metal, un momento di trionfo trascendenza potente. Si tratta di una gran conclusione per un brano splendido, uno dei picchi assoluti della scaletta. Giunge ora la più tranquilla A New Maze, anche se le emozioni non mancano. Se la norma è pacifica, con le classiche tinte post-rock del gruppo, ogni tanto l’intensità sale verso ritornelli che stavolta hanno un inatteso aspetto tradizionale nel loro gothic/doom. Si tratta di momenti in apparenza solari ma con una malinconia di fondo; ciò vale almeno nella prima metà, prima che notevoli striature death giungano a rendere l’aria più cupa e pesante, senza però spezzare l’aura precedente. C’è veramente poco altro nella canzone, che nei suoi sette minuti scarsi (la durata più breve del disco) si mostra lineare, con giusto alcune variazioni sparsi qua e là. A questo punto, siamo ormai alla fine del viaggio lungo cinquanta minuti che è Head First into Shadows: c’è rimasto posto solo per la conclusiva Order of the Nightshade. Essa parte da un intro tenero, con solo un arpeggio e la tastiera di Mutolo sotto alla voce placida di Urietti. Si tratta però di un falso preludio, presto la traccia si rivela quella più rivolta al death metal del lotto: ciò è ben ascoltabile nei momenti più veloci e vorticosi, che evocano una cupezza estrema. Anche gli altri momenti metal, per quanto espansi, hanno un aspetto un po’ più cupo della norma degli (EchO), anche se la tipica tensione sentimentale dei bresciani è nascosta tra le righe. Si tratta di un’impostazione ondeggiante, che sale d’intensità per poi scendere, senza variare troppo – se non in una bella frazione centrale vagamente bluesy. In questo caso però la formula funziona meno: la colpa è probabilmente del ritmo, che in certi momenti è davvero troppo lento, a livello funeral, il che rende la traccia a tratti prolissa. Si tratta di un problema veniale, che non pregiudica la buona riuscita del complesso. Se infatti è il meno bello dell’intero lavoro si tratta di un brano ottimo, che in un lavoro di media qualità sarebbe tra i pezzi più belli, e come chiusura non è certo male.
Concludendo, Head First into Shadows è un lungo viaggio onirico, compatto come se fosse un’unica canzone ma mai ridondante o troppo omogeneo. Al contrario, sa sempre emozionare con le sue sfumature d’atmosfera e la ricercatezza della sua musica, e alla fine risulta quasi un capolavoro. Dall’altro lato, c’è da dire che la musica degli (EchO) non solo è ardua da assorbire, ma anche molto particolare: difficile che piaccia infatti ai fan del death melodico tradizionale, e anche quelli del tipico gothic/doom potrebbero storcere il naso. Quella dei bresciani è musica per veri intenditori: se però lo siete, allora questa è una delle uscite del 2016 da tenere più in considerazione!
1 | Blood and Skin | 07:12 |
2 | A Place We Used to Call Home | 06:53 |
3 | Beneath This Lake | 09:33 |
4 | Gone | 10:42 |
5 | A New Maze | 06:51 |
6 | Order of the Nightshade | 08:52 |
Durata totale: 50:03 |
Fabio Urietti | voce |
Mauro Ragnoli | chitarra |
Simone Saccheri | chitarra |
Simone Mutolo | pianoforte e tastiera |
Agostino Bellini | basso |
Paolo Copeta | batteria |
Jani Ala-Hukkala | voce addizionale (traccia 4) |
Daniel Droste | voce addizionale (traccia 3) |
ETICHETTA/E: | BadMoodMan Music |
CHI CI HA RICHIESTO LA RECENSIONE: | Metaversus PR |