Rome in Monochrome – Karma Anubis (2015)
Per chi ha fretta:
A oggi è difficile valutare i capitolini Rome in Monochrome, vista l’esiguità del loro primo EP Karma Anubis (2015). Si tratta di un lavoro composto da tre canzoni, tra cui spicca la title-track, un pezzo doom/post-metal rarefatto e atmosferico; le altre due, la piacevole Spheres e l’outro espanso Endmusic sono invece episodi post-rock più tranquilli. È tuttavia difficile dare un giudizio completo partendo da questi soli quattordici minuti: sarà possibile farlo meglio alla pubblicazione del loro primo full-lenght, di prossima uscita.
La recensione completa:
Nonostante quello che può pensare, valutare un gruppo non è per niente facile. Per analizzarne bene tutti i pregi e i difetti c’è bisogno di molti ascolti e di una seria immersione nella sua musica. Se poi l’opera su cui basarsi è di durata molto ridotta, il compito è ancora più arduo: è il caso di Karma Anubis, primo EP dei romani Rome in Monochrome, uscito in origine nel 2015. Si tratta di un mini album con solo tre canzoni, peraltro molto diverse tra loro. Per esempio, il primo della serie si muove su un doom rarefatto e atmosferico, che deve parecchio ai My Dying Bride più evoluti, per la ricercatezza delle melodie ma anche per l’uso degli archi. Guarda però anche a sonorità più moderne, con un’anima post-metal molto chiara. Del resto i Rome in Monochrome non fanno nulla per nascondere il loro ascendente principale: gli altri due pezzi si spogliano dell’anima metallica per mostrare un lieve post-rock. Questa impostazione così variegata è personale e da un lato risulta interessante, anche se dall’altro rappresenta il punto debole di Karma Anubis. I suoi quattordici minuti costituiscono un opera molto sottile e inconsistente, anche per essere un EP. È per questo che giudicare i Rome in Monochrome da qui è molto difficile, ma come leggerete nel corso della recensione le sensazioni generali sono abbastanza positive.
La opener Karma Anubis comincia placida, con il pianoforte e gli archi in bella vista, che anticipano i temi del pezzo prima che a scandirli giunga una potente chitarra. Tuttavia l’atmosfera è ancora tranquilla: merito del ritmo lento, del riffage melodico ma soprattutto delle chitarre pulite e del basso di Riccardo Ponzi, che si fanno spesso sentire insieme alla chitarra distorta, accentuando l’aura crepuscolare e triste già presente. In ogni caso, la struttura è semplice: alterna una norma di questo tipo con momenti un po’ più tesi, ma resi crepuscolari e malinconici dalla voce profonda di Valerio Granieri. C’è anche ampio spazio per aperture soffici e delicate, in cui il metal lascia spazio al ritorno degli archi. Il tutto è avvolgente al punto giusto, e colpisce con una buona forza emotiva, intimista e fuori dal tempo. Nel complesso abbiamo un pezzo interessante e di ottima qualità. Come già detto, la successiva Spheres cambia rotta verso una norma molto più tranquilla. In principio è un pezzo psichedelico, con tanto di sitar sotto alla voce del frontman. Parte da qui una norma più animata, ma di poco: abbiamo un pezzo pieno di echi vocali e di tastiere, mentre la base rock con la chitarra pulita e la sezione ritmica è più sottotraccia. Il pezzo avanza su questa linea per tutta la sua durata, con diverse variazioni che spesso sembrano quasi casuali, slegate da una struttura fissa. Di solito questo è un problema, ma non stavolta: ne risulta una sorta di flusso di coscienza, che avvolge molto bene nella sua atmosfera ricercata, sognante e malinconica. È questa il punto di forza di un gran bel pezzo a metà tra dream pop e post-rock, alla pari col precedente in fatto di qualità. A chiudere il terzetto giunge quindi Endmusic, in pratica un outro espanso, persino più rarefatto del precedente. Per gran parte è dominata la chitarra acustica, che col suo arpeggio si mostra spesso in solitaria, oppure su uno sfondo di lievi echi ambient. Solo dopo passata la metà l’elettricità sale un pochino: la chitarra pulita si sposta sullo sfondo, lasciando spazio a un fraseggio distorto piuttosto veloce – mi ricorda addirittura il riff di base di Transilvanian Hunger dei Darkthrone (!). Nonostante l’assonanza, l’impostazione è del tutto diversa: l’atmosfera continua a restare calma e in questo frangente diventa quasi solare. Nel complesso è un passaggio e che non stona in un intro forse a tratti un pelino troppo placido, ma piacevole.
Insomma, Karma Anubis si rivela un EP piacevole e interessante, almeno nel suo piccolo. Tuttavia, come già detto all’inizio è troppo corto per valutare il vero valore dei Rome in Monochrome. Per farlo con condizione di causa è necessario aspettare il primo full-lenght dei capitolini, Away from Light, che al momento dovrebbe essere in avanzato stato di realizzazione. Nella speranza, ovviamente, che il gruppo riesca a confermare quanto di buono sentito qui.
Voto: 69/100 (voto massimo per i dischi sotto al quarto d’ora: 75)
- Karma Anubis – 06:25
- Spheres – 04:05
- Endmusic – 03:57
- Valerio Granieri – voce e chitarra
- Gianluca Lucarini – chitarra
- Marco Paparella – chitarra e violino
- Riccardo Ponzi – basso
- Stuart Franzoni – batteria
Genere: doom metal, post-rock