Atlases – Penumbra (2017)
Per chi ha fretta:
I finlandesi Atlases sono un gruppo promettente ma per ora un po’ acerbo, come dimostra il loro EP d’esordio Penumbra (2017). Da una parte, il loro post-metal a metà tra la versione primigenia e le incarnazioni più moderne è interessante. Merito soprattutto di una bel songwriting, con un buon equilibrio tra potenza, belle melodie e un’atmosfera sempre avvolgente – che poi sembra essere l’obiettivo primario degli scandinavi. Altri elementi, come la registrazione nitida e professionale, remano a favore dell’EP; purtroppo dall’altra parte a volte la musica è un po’ prolissa e ingenua. Non è un difetto così castrante: anche così la scaletta scorre piacevole, come testimoniano soprattutto le ottime An Era We’ll Bury e Shards of Broken Light. In generale, Penumbra è un buon lavoro; l’idea però è che gli Atlases abbiano ancora potenzialità nascoste, e debbano lavorare per riuscire a mostrarle in futuro.
La recensione completa:
Il post-metal è uno dei pochi generi – o forse l’unico – che nel panorama metal attuale sta continuando a evolversi: forse è un fatto anche ovvio, considerando la sua natura per antonomasia sperimentale. Negli ultimi anni, sono spuntati tanti gruppi che hanno ripreso il genere nelle maniere più svariate, magari lontane dalle origini sludge dei creatori Neurosis e dei gruppi che li hanno seguiti. C’è però anche una minoranza che rimane fedele a queste radici; e poi c’è chi tenta di conciliare classico e moderno, come nel caso degli Atlases. Nati a Pori, in Finlandia, appena nel 2017, non si sono rimasti con le mani in mano: risale giusto al 27 ottobre il loro EP d’esordio, Penumbra, uscito grazie alla rumena Pest Records. Come accennato, lo stile degli Atlases di base è un post-metal classico di derivazione sludge, anche meno rarefatto e più diretto rispetto ai precursori. I finnici lo corredano però con influenze di vario genere, che vengono soprattutto da groove metal e da post-hardcore/metalcore; in generale, Penumbra ha un’attitudine piuttosto moderna. Ciò si rivela per esempio in una registrazione quadrata, nitida, ribassata come da norma del metal moderno – oltre che precisa, accurata, professionale: è insomma anni luce superiore al livello medio degli EP d’esordio. In più, gli Atlases possono contare su un buon songwriting: concilia bene ritmiche di ottimo impatto con una bella atmosfera, sempre malinconica, espansa, calma, desolata. Quest’ultima in effetti sembra l’intento principale del gruppo, che lo supporta con un ottimo gusto melodico, più spinto della media del post-metal e che a tratti porta Penumbra persino su lidi vicini al gothic e al doom melodico. Anche le tante belle melodie sono un buon punto di forza per gli Atlases, che però dall’altra parte soffrono di alcuni problemi. Per esempio, a tratti la loro musica suona un po’ prolissa, specie nei momenti orientati verso il post-rock; in generale, Penumbra presenta alcune ingenuità, dovute forse all’inesperienza e alla giovane età del quintetto. La sua sostanza è un po’ da arricchire e sistemare, per quanto gli Atlases a livello formale abbiano già raggiunto un livello elevato– oltre al già citato suono, ci sono anche ottime doti tecniche. Di sicuro, tra le righe si scorgono ampi margini di miglioramento per il futuro; Penumbra rimane però un buon EP anche in ottica presente.
Un brevissimo intro distorto, effettato, poi An Era We’ll Bury entra nel vivo e mostra subito l’equilibrio del suono degli Atlases. Il riffage di base è ossessivo, desolato, di ottima potenza, fatto confermato anche dal growl rabbioso di Jani Lamminpää; a dare colore a questa base c’è però una chitarra in lead, che disegna bei fraseggi. È un’impostazione che va avanti per tutto il pezzo, anche quando si evolve in frazioni lievemente più graffianti oppure in tratti più espansi, che lasciano in parte la pesantezza per qualcosa di più rarefatto e melodico. Fanno eccezione a questa norma solo le piccole e brevi frazioni a tinte post-rock, espanse e quasi ambient per suggestioni, inserite però in punti strategici: non solo non spezzano troppo la traccia ma le danno il giusto respiro. Abbiamo insomma un episodio breve e semplice che però colpisce alla grande: è quello che spicca di più nell’EP che apre! La successiva A Passage Through Nebula prende vita da un lungo preludio a tinte post-rock: seppur i riff di base siano frenetici, con persino un vago retrogusto black metal, il complesso è mogio, soffice, col frontman che sussurra. Solo pian piano il tutto comincia ad agitarsi: un interludio calmo, pieno di echi delicati ma in cui spunta la sezione ritmica, poi il lead distorto ricompare su una falsariga metal. Il tutto però non è freddo, anzi: per quanto il growl del Lamminpää sia aggressivo, il resto è molto nostalgico, sentito, e avvolge bene più che impattare. Aiuta questo effetto l’alternanza di questa norma con ritorni su lidi post-rock, più distorti che in precedenza ma sempre calmi, placidi, espansi. Il tutto passa in fretta – forse addirittura troppa: i temi si ripetono giusto un paio di volte, e l tutto finisce per sembrare un po’ incompleto. A parte questo però le atmosfere sono avvolgenti, le emozioni volano: ne risulta un pezzo di buona qualità, non troppo lontano dal precedente.
Hamartia è una lunga progressione strumentale che esordisce da una lunga, lunghissima frazione a tinte post-rock. La base è un fraseggio di chitarra lento, mogio, su cui all’inizio si stagliano echi molto distorti – forse di chitarra, o forse sintetici. Man mano questa base si evolve e diventa a volte più nitida e calma, a volte più pastosa, quasi rimbombante – ma in una maniera del tutto voluta. Purtroppo però la progressione avanza a tratti un po’ troppo lenta, e finisce per risultare un pelo prolissa e vuota, con troppe poche variazioni. Per fortuna però non è un problema così grave: anche così la musica riesce ad avvolgere in maniera discreta, con la sua atmosfera dolce, sottile, calorosa. Tuttavia, va molto meglio quando finalmente, dopo quattro minuti – e una breve pausa, che quasi sembrava il finale della precedente – i finnici entrano nel vivo con gli stessi temi musicali, accoppiati però a una potenza doom/post-metal. Abbiamo allora una rapida coda – forse persino troppo corta – in cui si intrecciano i riff possenti di Nico Brander e V-V Laaksonen, elementi “post”, belle melodie e tanta malinconia, in un connubio avvolgente che finalmente colpisce a dovere. Nel complesso, il pezzo in sé non è male: soltanto, è un po’ squilibrato e ridondante, e alla fine risulta il meno bello di Penumbra – per quanto la qualità sia più che discreta.
Anche Shards of Broken Light comincia da un intro delicato, morbido, a tinte post-rock: è ancora molto lungo, ma stavolta non dà fastidio, viste le variazioni a cui gli Atlases lo sottopongono. Come risultato, il tutto avvolge bene, specie nell’ultima parte: la sua melodia saltellante di chitarra è di bellezza notevole, prima di dare il là a una brusca virata. Sempre in ambito post-metal siamo, ma stavolta i giochi sono più movimentati e meno melodici di quanto i finlandesi ci abbiano fatto sentire fin’ora: il riff di base è veloce, graffiante, di chiaro indirizzo metalcore, e anche Lamminpää growla con più cattiveria del solito. Ma l’anima melodica già sentita lungo l’EP torna fuori a breve, per frazioni morbide in cui le melodie di chitarra sono al centro, delicate e malinconiche. Questo elemento rimane in sottofondo anche quando il pezzo torna a graffiare, stavolta armonioso e con un bel pathos, per quanto il cantante sia ancora aggressivo. È una bella alternanza, semplice ma buona: corona bene un pezzo che però è molto buono anche nel complesso, nonostante un paio di sbavature, arriva appena dietro a An Era We’ll Bury. Siamo ormai alle ultime battute: c’è rimasto spazio solo per la conclusiva Medusa, in cui la band lascia da parte i toni caldi e melodici sentiti fin’ora per abbracciare sonorità oscure. Lo si sente già all’inizio, espanso e desolato, a tinte post-rock più sporche che in passato: è una norma che cresce lentamente, con l’aggiunta di più densità, di echi lontani quasi elettronici e di voci echeggiate, fino all’esplosione. Abbiamo allora un pezzo dissonante, di grande cupezza, espanso e tenebroso, che solo a tratti si addensa per dei passaggi ritmici ancora di influsso “core”. È una buona frazione, ma che forse va avanti un pelo troppo a lungo prima di svoltare ancora, stavolta su un breve outro più accogliente e melodica, che alla fine conclude il tutto. È un finale adeguato per una traccia (e anche per l’EP) che per il resto non sarà trascendentale, ma risulta discreta e avvolge al punto giusto.
Per concludere, Penumbra è un EP di buona qualità, con un paio di pezzi ottimi e spunti più che interessanti. Ma gli Atlases dovranno lavorare di più, se vogliono sfruttare al meglio le loro qualità: non credo sia stato un esordio troppo frettoloso (pur coi suoi limiti, in fondo va bene così), ma la loro strada è ancora lunga. Per quanto mi riguarda, mi auguro che la percorrano fino in fondo: di gruppi maturi e con buone idee non ce ne sono mai troppi. Ma ovviamente solo il tempo ci dirà se lo faranno.
Voto: 69/100 (voto massimo per gli EP: 80)
- An Era We’ll Bury – 04:38
- A Passage Through Nebula – 04:36
- Hamartia – 06:09
- Shards of Broken Light – 05:53
- Medusa – 04:46
- Jani Lamminpää – voce
- Nico Brander – chitarra
- V-V Laaksonen – chitarra
- Jerkka Perälä – basso
- Rami Peltola – batteria