Rome in Monochrome – Away from Light (2018)
Per chi ha fretta:
Away from Light (2018), primo full-lenght dei capitolini Rome in Monochrome, conferma quanto di buono già sentito nell’EP Karma Anubis. In primis, nel tempo il genere del gruppo si è fatto più ricco: è sempre un doom metal espanso, atmosferico e con forti influssi post-rock, ma ora ha anche un senso melodico più spinto e influssi gothic che lo rendono più elegante. A questo stile personale, i romani uniscono una buona capacità di creare atmosfere quasi sempre ricercate e avvolgenti. A volte però questo particolare viene un po’ esagerato, il che è il difetto dell’album insieme a un po’ di omogeneità e a qualche sbavatura. Ma sono problemi che non affliggono troppo una scaletta per lunghi tratti di alta qualità, tra cui spiccano pezzi come Ghost of Us, Solitary King, Paranoia Pitch Black e Only the Cold. Perciò, pur non raggiungendo il capolavoro, Away from Light è un ottimo album, apprezzabile da chi ama il doom più ricercato e melodico!
La recensione completa:
La desolazione e la malinconia al potere: così si può ben descrivere la musica dei Rome in Monochrome. Provenienti – come dice lo stesso monicker – dalla capitale d’Italia, hanno esordito nel 2015 con il l’EP Karma Anubis, di cui mi ero già occupato su queste pagine l’anno scorso. Risale invece allo scorso 16 marzo il primo full-length del gruppo, Away from Light, uscito grazie a Solitude Productions. In esso, i Rome in Monochrome sviluppano ed evolvono il genere già sentito nell’EP: di base è un doom espanso, seppur rispetto al passato il gruppo pesti più sulla potenza. Ma sono solo momenti: di solito abbiamo un album dilatato e molto melodioso, anche più che in precedenza, che punta più su sensazioni desolate e malinconiche che sull’impatto. Remano in questo senso anche i tanti influssi su cui Away from Light può contare: a quelli post-rock già sentite in Karma Anubis, qui i Rome in Monochrome uniscono suggestioni gothic che rendono il tutto più elegante. Il risultato finale ricorda una versione più dilatata e post-metal di gruppi come i My Dying Bride più calmi e i Draconian, ma senza essere derivativo: per quanto forse non sia un’innovazione radicale, lo stile dei capitolini è almeno personale. Ma non c’è solo l’originalità: dalla loro i Rome in Monochrome hanno anche una buonissima capacità di creare atmosfere crepuscolari, ricercate, mai banali: Away from Light riesce ad avvolgere bene per buona parte della sua durata. Tuttavia, a volte questa ricerca si spinge un po’ troppo oltre, come se la band esagerasse nel cercare l’atmosfera a tutti i costi: è il difetto principale dell’album insieme a un po’ di omogeneità e a qualche sbavatura. Sono limiti che precludono il capolavoro probabilmente nelle corde dei Rome in Monochrome; non impedisce però a Away from Light di essere un buonissimo lavoro.
La opener Ghosts of Us parte da un lungo intro molto placido, con solo un paio di chitarre pulite e il basso lieve di Riccardo Ponzi che si incrociano in arpeggi, per un effetto mogio, desolato. Solo dopo oltre un minuto e mezzo questa base cambia: all’inizio appare la voce di Valerio Granieri, triste e bassa, e poi la batteria di Flavio Castagnoli, accompagnata da echi post-rock. È da qui che prende il via una base più metal, ma sempre molto dilatata: per quanto sia metal a tutti gli effetti, il riffage è molto rarefatto, e accompagnato da circolari chitarre “post”. In più, questo lascia presto spazio a un ritorno di fiamma dall’inizio, riletto in maniera più cupa e post-rock ma senza spezzarne la calma. Solo nel finale la base metal si fa più incisiva e potente, con tanti echi a intrecciarsi su una base che resta però malinconica e lontana. Ne risulta un pezzo molto melodico, ma non un problema: l’atmosfera che crea è splendida, e introduce al meglio l’album che apre! Va però ancora meglio con A Solitary King: il suo preludio, circolare e calmo, con ancora influssi “post”, fa pensare a una traccia analoga alla precedente. Pian piano però la norma comincia a crescere, fino a esplodere in un pezzo più movimentato e potente, doom metal con un’anima gothic abbastanza spinta. Sul tempo ondeggiante di base, Gianluca Lucarini, Alessio Reggi e Marco Paparella intrecciano un riffage movimentato, energico, un lead melodico e malinconico e lievi echi di chitarra pulita, il tutto corredato dalla mogia voce del frontman. È una falsariga che regge sia le strofe, più dirette e pesanti, sia i ritornelli, più atmosferici e dilatati, con giusto poche variazioni. Ma nonostante questo il brano non annoia: l’aura triste, depressa, di sconfitta compensa la relativa ripetitività, e avvolge alla grande per lunghi minuti. Non fa eccezione nemmeno la coda finale, in cui il pulito malinconico si alterna con l’ossessivo growl di Lucarini: ne risulta un pezzo di sei minuti e mezzo che vola in un attimo, e risulta alla fine uno dei più belli di Away from Light!
Anche Paranoia Pitch Black comincia da una melodia semplice, tranquilla di chitarra pulita: rimane poi in scena anche quando, dopo pochi secondi, il pezzo vero e proprio entra nel vivo. Abbiamo allora una lenta evoluzione doom a cui là melodia di base dà un tocco gothic a tratti, mentre altrove resta da sola per aperture di nuovo tranquille, tristi e intimiste. Appartengono invece alla prima norma i ritornelli: leggermente più estroversi ma sempre con un gran pathos, con tante melodie, vocali e di chitarra, quasi catchy per impostazione, creano un panorama sottile, oscuro, intenso. Questa falsariga diviene più preoccupata nella fase finale, in cui la voce del frontman si alza e si fa più lontana, intrecciandosi ancora con uno scream, per qualcosa di più intenso e sognante – nel senso più oscuro del termine. È un’ottima conclusione per un’altra canzone semplice ma avvolgente al massimo, un altro dei picchi assoluti di quest’album! A questo punto, i toni si abbassano ulteriormente per Uterus Atlantis, delicata ballata con all’inizio soltanto una chitarra e i vocalizzi dolci, echeggiati di Granieri. Solo poco dopo compaiono il suono del violino di Paparella e vaghi echi post-rock, seguiti poi anche da tastiere, percussioni e altri lievi suoni qua e là: anche essi contribuiscono alla delicatezza generale. Il risultato è un breve pezzo molto calmo, melodioso, con una bella malinconia che avvolge bene: non sarà tra i migliori in Away from Light, ma nemmeno sfigura!
December Remembrance stacca dalla precedente e parte subito con potenza: ma è un’energia docile e molto melodica, che evoca più nostalgia che altro. Sembra quasi che il pezzo debba essere tutto così quando si apre una frazione post-rock calma e dolce, per quanto crepuscolare: invece, è il preludio alla successiva partenza, che fa svoltare la norma. Ci ritroviamo allora in un pezzo gothic/doom non velocissimo ma di buona potenza, con in evidenza il riffage di Lucarini, Reggi e Paparella sotto alle preoccupate e lacrimevoli melodie di chitarra. A tratti questa norma si alleggerisce: in scena allora rimangono solo i lievi fraseggi ad accompagnare la sezione ritmica e la voce del frontman. Altrove invece il tutto si accentua: Lucarini sfodera il growl, e la base diventa anche più graffiante. Tutto ciò va avanti fino a verso metà, dove il pezzo rallenta, ma abbraccia cupe ritmiche doom – per quanto la malinconia, e anche gli echi post-rock siano sempre in sottofondo. A tratti vengono fuori con maggior evidenza, per una sezione di tre quarti calma, triste in maniera calorosa e avvolgente. È il momento migliore di una frazione finale a tratti un po’ fuori fuoco, specie nella lunga e potente parte finale, con un riffage un po’ strano, obliquo e dissonante – che poi continua il suo influsso anche nella lunga coda conclusiva. È l’unico difetto di un pezzo per il resto molto buono, ma resta un peccato: fosse stato tutto come la prima parte, sarebbe stato uno dei picchi di Away from Light! Con la seguente Until My Eyes Go Blind i Rome in Monochrome lasciano da parte ogni influenza metal per un post-rock spoglio e ricercato, quasi poetico a tratti. L’arpeggio di una chitarra acustica fa da guida all’ascoltatore mentre attraversa diversi panorami: alcuni sono più densi, con il violino di Paparella e venature post-rock, altri invece sono più spogli e notturni, altrove spunta persino un vago retrogusto folk. Ogni passaggio è però ben incastrato con gli altri, in una bella progressione: pur essendo poco più di un intermezzo, si rivela godibile al punto giusto!
Sin dall’intro, che con lentezza introduce i suoi temi principali, Between the Light and Shadows sa già un po’ di già sentito. È la stessa sensazione che continua quando il pezzo entra nel vivo, con un’alternanza tra momenti più potenti, dalle suggestioni ancora una volta gothic/doom, e strofe più spoglie, che tornano all’origine. Appartengono alla prima norma i ritornelli: più densi ed energici del resto, colpiscono bene con la loro malinconia – per quanto anch’essi sembrino un po’ banali, il che li frena abbastanza. Non aiuta poi il fatto che la struttura sia un po’ ripetitiva: a parte un paio di variazioni strumentali interessanti che appaiono qua e là, il tutto fluisce così abbastanza liscio, e lascia poca traccia di sé. In realtà non è proprio malaccio come pezzo, la sua qualità è discreta: solo, in un album come Away from Light tende un po’ a sparire. Per fortuna quest’ultimo si riprende alla grande nel finale con Only the Cold, che sin dall’inizio mostra qualcosa di nuovo: il suo intro, sempre rarefatto e orientato al post-rock, stavolta è meno malinconico e più cupo, freddo. È ciò che evocano le striscianti dissonanze di chitarra, che avanzano a lungo, raggiunte a tratti dalla voce di Granieri, quasi arcigna, come unica variazione. Poi però, dopo quasi tre minuti, la musica svolta: un espanso raccordo di delicato post-metal sfocia poi in un ritornello che recupera lo spessore emotivo desolato già sentito altrove e colpisce alla grande. Merito del contrasto, che potenzia sia l’anima più cupa, sia quella più intensa del pezzo, che da qui in poi si scambiano diverse volte. Ottimo anche il gioco di variazioni impostato dai Rome in Monochrome, che tendono a cambiare più spesso del solito, con tanti passaggi tutti ben scritti e inseriti al punto giusto. Alcuni portano il pezzo su lidi anche più delicati, quasi magici – come sulla tre quarti; altrove invece la band sfodera dei bei riff, potenti al punto giusto ma senza rompere l’incantesimo oscuro evocato dal complesso. Il risultato è un brano lungo quasi dieci minuti ma mai noioso: risulta anzi addirittura tra i migliori del disco che chiude!
Nell’altra recensione, dicevo come Karma Anubis fosse un lavoro troppo corto, con le sue tre canzoni, per valutare i Rome in Monochrome: l‘impressione generale però era buona. Con Away from Light, quelle sensazioni si confermano in pieno: abbiamo un ottimo lavoro, ricercato e personale, che può fare la tua felicità, se dal doom non cerchi riff grassi e d’impatto – almeno, non solo – ma anche belle atmosfere. Se è così, ti consiglierei anche di tenere d’occhio i capitolini: se riusciranno a correggere il tiro e a evitare le ingenuità presente qui, il prossimo album potrebbe stupire anche di più!
Voto: 84/100
Mattia
Tracklist:
- Ghost of Us – 06:34
- A Solitary King – 06:30
- Paranoia Pitch Black – 07:45
- Uterus Atlantis – 04:05
- December Remembrances – 09:24
- Until My Eyes Go Blind – 03:17
- Between the Dark and Shadows – 06:46
- Only the Cold – 09:39
Durata totale: 53:59
Lineup:
- Valerio Granieri – voce pulita
- Gianluca Lucarini – voce harsh e chitarra solista
- Alessio Reggi – chitarra solista
- Marco Paparella – chitarra e violino
- Riccardo Ponzi – basso
- Flavio Castagnoli – batteria
Genere: doom/gothic metal
Sottogenere: atmospheric/melodic doom/post-metal