Frayle – The White Witch (2018)
Per chi ha fretta:
Seppur esistano soltanto dal 2017, gli americani Frayle hanno già le idee chiare, come dimostra il loro primo EP The White Witch (2018). Si tratta di un esordio personale a partire dal genere, un mix di post-metal e pulsioni doom più classiche, che la band maneggia in una forma espansa, calma, sensuale – grazie anche alla bella voce leziosa di Gwyn Strang. Ma non c’è solo originalità, il duo americano può contare anche su un bel sogwriting, molto curato, e su una registrazione di alto livello. Sono questi i fattori di un EP di alto livello medio, con picchi eccezionali come la delicata Let the Darkness In e l’intensa Things that Makes Us Bleed. Ed è così che nonostante qualche ingenuità, The White Witch si dimostra un esordio di livello assoluto, che lascia sperare ancor meglio per il futuro: i Frayle sono insomma una band da tenere d’occhio!
La recensione completa:
Come saprai se leggi Heavy Metal Heaven almeno da un po’, io sono sempre favorevole a chi cerca di sperimentare, di portare delle innovazioni all’interno del mondo del metal. Se è vero che, come ho detto spesso, l’originalità da sola non basta, ce n’è comunque bisogno se il nostro genere preferito non vuole accartocciarsi sui soliti cliché ormai triti e ritriti e di conseguenza morire. È vero anche che, in un mondo così conservativo come quello del metal, i gruppi che sperimentano sono rari; per fortuna però non sono spariti, qualcuno ancora si trova, come per esempio i Frayle. Duo nato l’anno scorso a Cleveland, Ohio, ha bruciato tutte le tappe e pubblicato il primo EP The White Witch pochi mesi fa: nonostante questa velocità, sembrano già avere le idee chiare. Il loro genere è uno strano ibrido: mescola il post-metal più moderno e lontano dallo sludge originale con pulsioni doom più classiche – e qualche sparuta influenza più dissonante, proveniente addirittura da grunge e alternative. I Frayle lo manipolano in una forma espansa, calma: contribuisce a questo effetto anche la voce di Gwyn Strang, sensuale, leziosa e spesso effettata, un altro tocco personale per il suono del gruppo. Ma in The White Witch non c’è solo originalità: l’EP può contare per esempio su un ottimo songwriting, che evidenzia una grande cura per i particolari. E così, le melodie degli americani sono belle, spesso catchy, e le atmosfere sono impostate con abilità per incidere alla grande nelle loro molte sfumature diverse. Completa il quadro una registrazione nitida e professionale, molto al di sopra della media dell’EP d’esordio medio: un altro fattore che rende The White Witch interessante al massimo. E il fatto che ogni tanto i Frayle suonino un po’ freddi, e che l’EP soffra a tratti di qualche ingenuità e di un filo di omogeneità non riescono a cambiare questo fatto.
La opener Let the Darkness In comincia in maniera molto espansa, con solo gli echi della chitarra di Sean Bilovecky, che evoca sin da subito un’aura desolata. È la stessa che permane quando il pezzo accelera un po’: la base è ancora dilatata, echeggiante, con una sezione ritmica lenta e i sussurri delicati della Strang. È una norma che torna spesso lungo il pezzo, lenta e sottotraccia: a tratti però il tutto tende a spegnersi ancora, con solo la voce della cantante raddoppiata e una lievissima chitarra. È però il preludio ai ritornelli, che all’improvviso strappano verso un doom metal di gran potenza, nonostante la melodia sempre in scena: riprende quella precedente, ma la trasforma in qualcosa di possente, ricco, esplosivo. È anche per questo che si rivela una bella parte, non troppo oscura ma crepuscolare e fascinosa, la migliore del pezzo. Anche il resto però non è da buttare, anzi: funzionano alla grande sia la norma principale che la breve frazione finale, ancora rumorosa ma con più pathos rispetto al resto. È questo a consentire al brano, per quanto semplice, di essere uno dei picchi dell’album, nonché una partenza grandiosa! Con la successiva The White Witch non va però molto peggio: un breve intro di fuzz, poi ci ritroviamo subito in un ambiente lento e potente. È una progressione ossessiva e quasi funerea, con un riffage a metà tra doom classico e addirittura epic, per quanto la voce sensuale e delicata della frontwoman le dia una dimensione del tutto diversa. Ciò si accentua ancora di più nei ritornelli, in cui si esce dalla norma sottotraccia precedente per abbracciarne una più estroversa, ma sempre alienante e magica come il resto: merito anche delle venature “post” che compaiono. Queste si rivelano le protagoniste anche nei brevi stacchi più veloci che appaiono a tratti: sono leggermente più musicali, ma non spezzano l’aura tutta particolare, oscura ma calda e accogliente, che avvolge l’intero pezzo – e che è il suo punto di forza. È questo il motivo all’origine di un altro ottimo brano, non al livello della precedente ma nemmeno lontanissimo.
Cover della band alternative/trip-hop inglese Portishead, Wandering Star viene riletta in una maniera fedele all’originale, almeno per quanto riguarda l’impostazione, molto espansa e delicata. A livello musicale, però, i Frayle la trasportano benissimo nel loro genere, tant’è che prima di scoprire in maniera casuale che era una cover, pensavo addirittura che fosse una loro composizione! È così sia per quanto riguarda i momenti più vuoti, in cui sotto la voce della Strang è retta dal basso e dalla batteria di Bilovecky, sia soprattutto quelli più pesanti, che mostrano un doom ricercato e pieno di melodie post-metal. Certo, forse il brano in sé è un po’ ripetitivo e piatto a lungo andare, ma non è certo colpa degli americani; in più, la durata ridotta aiuta in questo senso a non far pesare granché il difetto. Insomma, se questo è il pezzo meno bello del disco, conserva lo stesso fascino delle altre, e non stona troppo. E poi The White Witch si ritira su alla grande nel finale con Things that Make Us Bleed, che presenta qualche piccola novità. La norma principale è molto simile a quanto sentito in precedenza, calma sia nei vocalizzi della cantante che nella base; il tutto è però più oscuro del resto, grazie soprattutto a ritmiche che conservano, pur nel loro basso profilo, un’essenza metallica. Il cambiamento maggiore si ha però coi ritornelli, potenti ma stavolta intensi, quasi lancinanti: sia la melodia della cantante, che pure nella sua delicatezza riesce a suonare espressiva, sia la melodie, semplice ma grandiosa, incidono alla grande. Ottima anche l’unica variazione sulla trequarti, un lungo passaggio a tinte post-rock, lontana e piena di effetti che si uniscono bene alla sottile linea melodica di chitarra, che conduce poi a una nuova esplosione, desolata ma potente e riottosa. È un altro bel momento per una grande traccia, la migliore dell’EP che chiude con Let the Darkness In!
C’è da dire, a questo punto, che forse le quattro canzoni che compongono The White Witch (anzi, tre più una cover) non permettono di dare un giudizio totale e complessivo dei Frayle. Quel che è certo, però, è che l’impressione è molto positiva: abbiamo una band originale e con le idee chiare, che potrebbe fare grandi cose, specie se maturerà e risolverà i lievi difetti – il che in teoria non dovrebbe essere troppo difficile. Ecco perché il duo americano è da tenere d’occhio, specie se ti piacciono il doom e le sue propaggini più moderne!
Voto: 73/100 (voto massimo per gli EP: 80)
Tracklist:
- Let the Darkness In – 04:38
- The White Witch – 05:25
- Wandering Star – 03:58
- Things that Make Us Bleed
- Gwyn Strang- voce
- Sean Bilovecky – tutti gli strumenti