Ennui – End of the Circle (2018)
Pubblicato · Aggiornato
PRESENTAZIONE | End of the CIrcle (2018) è il quarto album dei georgiani Ennui. |
GENERE | Un funeral doom metal cupo e asfissiante, con in più qualche influsso post-rock e qualche accelerazione estrema. |
PUNTI DI FORZA | Alcuni spunti di personalità, atmosfere con diverse sfumature, qualche bel passaggio in una scaletta in generale piacevole. |
PUNTI DEBOLI | Un grande anonimato: se la musica scorre, c’è pochissimo che rimanga in mente. |
CANZONI MIGLIORI | The Withering Part II – Of Long-Dead Stars |
CONCLUSIONI | End of the Circle si rivela un lavoro che non spicca, ampiamente sufficiente ma senza riuscire ad andare molto oltre. |
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Ci sono recensori che, nel loro lavoro, amano essere severi nei loro giudizi, tanto da rasentare la cattiveria, quando gli capita una stroncatura o anche solo un disco meno buono. Per fortuna dei georgiani Ennui, io non lo sono: sarebbe facile per me prendere in giro il loro monicker, che significa “noia” in francese, e dire che descrive bene il loro quarto album End of the Circle, uscito lo scorso 5 settembre. Ma non sono così categorico: si tratta di un lavoro con anche qualche punto di interesse, seppur in generale non mi abbia convinto del tutto. Da un lato, lo stile degli Ennui non è male: si tratta di un funeral doom metal lento, molto espanso, asfissiante, con poche accelerazioni che mostrano influssi death e black. Il suo punto di forza sono le melodie ossessive, a volte addirittura di stampo post-rock, che danno a End of the Circle un tocco di personalità in più. Ma al tempo stesso, questo è il difetto del disco: gli Ennui riescono di rado a fare la differenza con queste melodie, come capita ai migliori gruppi del genere. E il risultato è che lungo le tre lunghissime canzoni che compongono l’album sono pochi i passaggi che riescono a spiccare, tutto il resto suona abbastanza anonimo. È forse colpa anche di un po’ di discontinuità – all’interno di uno stesso brano si alternano tratti buoni si alternano con altri che non lo sono – e della forte omogeneità: in End of the Circle molte melodie tendono ad assomigliarsi. Sta di fatto che, seppur non deleterio, è un problema abbastanza incisivo della musica degli Ennui. Quello costruito dalla band di Tbilisi nell’ora e un quarto dell’album rimane un viaggio piacevole, avvolgente nella sua oscurità, e raggiunge un’ampia sufficienza; solo, alla fine dell’ascolto c’è davvero poco che ti rimanga dentro.
Le danze partono da un breve intro misterioso, con una chitarra pulita echeggiata, di tono molto post-rock. Rimane anche quando End of the Circle entra nel vivo, accoppiata a potenti e arcigne ritmiche di chitarra, per un connubio strano, ma riuscito. Come base non è niente male, anche grazie ai tanti echi e alle piccole variazioni, che fanno cambiare spesso questa melodia e la rendono sempre incisiva, a tratti anche con un certo pathos, almeno all’inizio. Poi però, dopo una breve pausa, l’estro degli Ennui si acquieta, con una lunga frazione meno interessante: le lievi chitarre in sottofondo sono troppo ossessive e monocordi, e non arricchiscono molto la semplice base funeral e il growl di David Unsaved al di sopra. Solo a tratti si aprono stacchi sempre lenti ma un po’ più animati: guardano all’inizio e creano buoni affreschi di desolazione o di alienazione, grazie al lead di chitarra, sempre in bella vista. È il dualismo dell’intera canzone, che a tratti impressiona, mentre altrove annoia: colpa anche di una progressione che ogni tanto sembra un po’ casuale, slegata da qualsiasi filo logico. E così, per esempio non riescono a incidere le tante aperture eteree che appaiono spesso: nessuna di esse a livello musicale è malaccio, ma i georgiani le stirano troppo a lungo, tanto da farle risultare prolisse, poco interessanti. Ma anche per alcuni di quelli più metal vale lo stesso, con alcuni passaggi ossessivi al massimo, che vengono a noia quasi subito: succede per esempio nei dintorni del finale, che poi sfocia in una coda ancor più vuota e lunga. Per fortuna però altri passaggi ritirano su la qualità di questa title-track: spicca per esempio la progressione che prima metà diventa sempre più vorticosa, per poi sfociare in un granitico e rabbioso sfogo death metal, di ottimo impatto. Validi si rivelano anche i passaggi più profondi che si aprono a tratti, in cui nonostante il growl c’è spazio anche per una bella dose di sentimento, di disperazione: sono i più belli del pezzo insieme a quelli in cui tornano le coordinate iniziali. In generale, gli oltre trentadue minuti del pezzo non mancano di buoni elementi: quasi nessuno è da strapparsi i capelli, ma tutti riescono a dire qualcosa. Peccato però per i tanti momenti morti – che, lo ammetto, mentre scrivevo la recensione mi hanno causato più di uno sbadiglio: senza, poteva venire un pezzo più breve e soprattutto molto migliore, invece di quello solo riuscito a metà che risulta alla fine.
The Withering Part I – Of Hollow Us parte da un riff lento e costante, arricchito da una chitarra malinconica con un retrogusto persino gothic. È una norma che va avanti a lungo: all’inizio crea un bell’affresco, di grande vuoto e disperazione, aiutato da qualche piccola variazione, che però alla lunga risulta insufficiente. Ripetendosi per tanti minuti (addirittura oltre sei) senza cambi macroscopici, il tutto finisce per risultare prolisso. Per fortuna, a quel punto gli Ennui cambiano strada, con la musica che scende fino a raggiungere un lungo stacco a metà tra l’ambient e il post-rock, pieno di echi del basso di Serj Shengelia e delle chitarre. Si tratta ancora di una frazione lunga e molto vuota, ma stavolta con la sua aura funziona; lo stesso vale per quella successiva, che torna al funeral ma presenta melodie e suggestioni simili. È la base di partenza per un nuovo avvio, che pian piano accelera, ma stavolta con meno influssi death: a dominare anche nei tratti più veloci è la chitarra, con melodie circolari, vertiginose, a tratti persino lancinanti. Abbiamo così il momento migliore del pezzo, ma anche il resto non è da buttar via: oltre a quanto già citato, funziona bene il finale, che dopo un altro stacco delicato e malinconico torna a essere ripetitivo. Ma stavolta non annoia: merito della lenta e ossessiva melodia di chitarra, dolce e di gran pathos, che aiuta a creare una bella atmosfera, avvolgente nonostante l’assenza di grandi variazioni (ma di piccole ce ne sono al punto giusto). È quanto basta al brano: nonostante soffra in certi frangenti dei difetti tipici degli Ennui in End of the Circle, risulta discreto e piacevole. La successiva The Withering Part II – Of Long-Dead Stars stavolta entra dritta nel vivo: un breve preludio del batterista ospite John Devos, poi ci ritroviamo in un ambiente lentissimo, cupo, ma con una sua essenza sognante. Merito ancora delle chitarre di Shengelia e Unsaved, che cominciano subito a creare belle melodie, un flusso che prosegue anche quando entra in scena il growl. È il filo conduttore del pezzo, che a tratti comincia ad accelerare e si fa leggermente più musicale, mentre altrove va dritto verso l’alienazione, con momenti di cupezza cosmica, espansa al massimo. Ma ci sono passaggi anche in cui le due suggestioni si uniscono: succede al centro, con una sezione dissonante che rapidamente diventa convulsa, fino a raggiungere un breve sfogo macinante, di gusto ancora death metal. È un’influenza che stavolta aleggia anche sul resto, seppur in maniera vaga: lo si può sentire in molte ritmiche, per quanto a dominare siano sempre le melodie lontane e alienate di chitarra, a tratti di nuovo di origine post-rock. In ogni caso, tra tanti cambi di ritmo e diverse piccole sfumature di atmosfera, il tutto non annoia mai: succede soltanto, un pochino, nella morbida coda finale, con la stessa melodia di chitarra pulita che va avanti troppo a lungo. Ma è un dettaglio per una traccia per il resto molto buona, la migliore del terzetto che conclude!
Da un lato, End of the Circle non è un album da buttare: per lunghi tratti è piacevole, specie se uno lo usa come sottofondo, nel qual caso avvolge molto bene. Ma non è certo un lavoro memorabile: al netto di alcuni bei passaggi, tutto il resto tende a scorrere senza lasciare grande traccia nella mente dell’ascoltatore. Di fatto, l’unica vera particolarità per cui gli Ennui riescono a spiccare è perché vengono dal Caucaso, invece che dalla Finlandia, dall’Europa centrale o dagli Stati Uniti: per il resto, si perdono tra le tante terze linee del funeral doom. E questo non è positivo, considerando anche che qualche bello spunto ce l’hanno, come anche una personalità non banale. Che dire: speriamo che vengano fuori meglio col prossimo album!
1 | End of the Circle | 32:29 |
2 | The Withering Part I – Of Hollow Us | 20:07 |
3 | The Withering Part II – Of Long-Dead Stars | 20:00 |
Durata totale: 01:12:36 |
David Unsaved | voce e chitarra |
Serj Shengelia | chitarra e basso |
John Devos | batteria |
ETICHETTA/E: | Non Serviam Records |
CHI CI HA RICHIESTO LA RECENSIONE: | l’etichetta stessa, Qabar PR |