Pelican – Nighttime Stories (2019)
Per chi ha fretta:
Nighttime Stories (2019), sesto album degli americani Pelican, è un album all’altezza del loro nome. Lo stile con cui la band statunitense è tornato dopo anni di pausa è lo stesso sviluppato in passato, un atmospheric sludge metal strumentale con influssi post-metal ma pure aperture più melodiche, a tratti di carattere hard rock vintage. Anche il livello di ispirazione è elevato: lo si sente soprattutto nella varietà interna dell’album che molto di rado si ripete, e tiene alta l’attenzione nonostante la totale assenza di cantato. Sono i pregi che rendono grandi canzoni come Abyssal Plain, Cold Hope e Full Moon, Black Water: sono i picchi di una scaletta però in cui non tutto spicca, per colpa di una certa freddezza a livello atmosferico in certi frangenti. Ma non è un gran difetto: anche così Nighttime Stories rimane un ottimo album, adatto alla nicchia di amanti del genere portato avanti dai Pelican!
La recensione completa:
Chi si appassionato del piccolo mondo del post-metal, di sicuro conosce i Pelican almeno di nome. Nati nel 2001 nell’Illinois, col passare del tempo si sono ritagliati una loro nicchia nella scena come una seconda linea di lusso. Tuttavia, la band americana sembrava essersi un po’ persa dopo Forever Becoming del 2013: subito dopo, i Pelican hanno pubblicato quasi solo live album, come se l’ispirazione fosse venuta a mancare. Per fortuna, non era così: il 2019 è stato l’anno del loro grande ritorno con Nighttime Stories, uscito lo scorso 7 giugno grazie a Southern Lord Recordings. Al suo interno, gli statunitensi tornano a proporre il suono che hanno evoluto nel tempo: di base è un doom metal del tutto strumentale, in certi casi meno oscuro e sludgy rispetto alle prime mosse del disco, grazie anche a qualche influsso dall’hard rock d’annata. Ma non mancano passaggi oscuri e potenti, come nemmeno forti venature moderne, provenienti di norma dal post-metal – in misura minore rispetto ad altri dischi dei Pelican, ma sempre presente. Ma non è solo una questione di stile: Nighttime Stories conferma gli americani anche sui loro livelli di ispirazione migliore, con tante canzoni che nonostante l’assenza di cantato riescono a tenere alta l’attenzione. Merito anche di una grande varietà interna: quasi ogni brano ha la sua personalità ben precisa, mentre solo di rado la band si ripete – qualcosa che nel metal di oggi sta diventando sempre meno frequente. Certo, c’è anche da dire che non tutti i pezzi all’interno di Nighttime Stories riescono a brillare: colpa dell’impostazione a volte un po’ fredda dei Pelican, che castra un po’ l’espressività generale. Ma è una pecca da poco per un album che anche così si rivela del tutto degno di considerazione.
Nonostante la lunghezza, WST è più una sorta di intro che un pezzo vero e proprio. Si parte da una melodia di chitarra pulita mogia, malinconica, che col tempo si evolve poco: giusto ogni tanto appaiono arpeggi più circolari o qualche fraseggio più obliquo, ma senza grandissime variazioni. È invece la base al di sotto che cambia di più, a tratti facendosi più tesa e densa, altrove invece tornando a dilatarsi. In ogni caso, il tutto non perde mai una certa calma, che prosegue per tre minuti fino all’arrivo di Midnight and Mescaline. Una breve rullata di Larry Herweg, poi gli americani spiazzano l’ascoltatore con un avvio atmosferico ma per il resto di piglio classico, hard ‘n’ heavy a metà tra Iron Maiden e incarnazione del genere anni settanta. È una base che torna spesso, sia coi suoi incroci di chitarre di base che partendo per assoli malinconici, che accentuano il lieve velo già presente nella norma di partenza. Spesso però la musica si fa più potente e oscura come al centro, una lunga progressione energica con stacchi veloci, macinanti e altri che rallentano ma non lesinano in pesantezza di pura origine doom, a tratti persino asfissianti. A volte è un po’ fine a sé stesso, non incide moltissimo, ma di solito graffia a dovere; meglio fa però il finale, dove invece il tutto torna a riaprirsi, anche in maniera più serena rispetto al passato. È la giusta conclusione di un bel pezzo, molto particolare, che riesce a spiccare in Nighttime Stories per questo – e anche a livello di qualità si rivela ottimo, nonostante il difetto. La successiva Abyssal Plain attacca ancora rockeggiante, quasi alternativa, seppur stavolta i Pelican evocano una preoccupazione ombrosa. È quella che esplode ancor di più nel passaggio che intermezza questa norma: seppur l’Herweg batterista usi il blast beat rimane melodiosa, con influssi post-rock e quasi black metal che si intrecciano in un panorama triste e oscuro. Ma dopo poco tutto si spegne: sembra quasi la fine, ma poi sulla guida del basso di Bryan Herweg la traccia comincia a risalire, senza però la tensione che si respirava all’inizio. Tra elementi post-rock e hard, ci ritroviamo invece in un ambiente disteso, caldo, seppur con una patina di nostalgia: un’essenza che non viene meno neppure nella nuova fuga in blast. Pian piano però la norma si potenzia e aumenta i propri elementi metal, finché sulla trequarti la potenza non prende il sopravvento. Cominciano così ad alternarsi passaggi più rocciosi, ritmici e altri distesi, malinconici, in un affresco variopinto e molto avvolgente, che colpisce alla grande. È un tratto davvero di gran potenza, tra assoli riusciti, melodie funzionali e potenza graffiante: di sicuro, il migliore di un pezzo che però anche per il resto è ottimo, e guarda il meglio del disco da non troppo lontano!
Sin dall’inizio, Cold Hope è orientata verso il lato più sludge e potente della band statunitense: sempre espansa, è però plumbea e minacciosa sempre, grazie al riffage di Trevor De Brauv e Dallas Thomas. A tratti dissonante e acido, altrove grasso e pesante, altrove ancora corredato di cupi lead, la sua carica arcigna è la guida su cui si muove il brano per buona parte della sua durata. Spesso però la sua avanzata è intervallata da aperture più dilatate e atmosferiche di influsso post-metal: di norma sono brevi e angosciosi, ma al centro la musica si apre un po’ di più, per una sezione solistica peraltro espressiva e riuscita. Ma è solo un momento, visto che per il resto la traccia è di indole oscura: lo dimostra il secondo assolo sulla trequarti, sinistro al massimo, o il terzo, quasi ansioso nella sua impostazione lamentosa. È quello che segna l’inizio della fine: pian piano la base al di sotto comincerà a perdere spinta e voltaggio, fino a un finale in fade. Decreta la conclusione di un altro episodio di altissimo livello, appena alle spalle del meglio del disco. A questo punto, è il turno di It Stared at Me, breve interludio espanso che serve quasi a far riposare le orecchie dopo tanto macinare. Per tutta la sua durata è un brano soffice con suggestioni post-rock ma anche blues e southern, specie nella lenta e pacifica chitarra pulita che gli fa da guida. Anche stavolta, a cambiare è la base, spesso molto spaziale nelle sue sonorità post-rock; solo nel finale si potenzia, ma giusto di poco. È in pratica tutto qui un pezzo forse poco significativo dal punto musicale ma piacevole il giusto, il che gli consente di essere comunque un arricchimento per il disco!
Con Nighttime Stories, i Pelican tornano al metal con forza: il riffage è da subito strisciante coi suoi toni doom/sludge e col tempo si fa anche più deviato e stridente, per alcuni stacchi quasi spaventosi. È una base buona, ma che per una volta non impressiona più di tanto; un po’ meglio va con la sezione centrale, più espansa ma sempre poco accogliente, con le sue dissonanze che creano una certa ansia, non fredda ma intensa. Pian piano, si fa sempre più calda, attraverso le melodie, ma dura poco prima che il pezzo torni a macinare, una progressione vertiginosa con un buon livello di pesantezza, ma di nuovo insipida. Del resto, è lo stesso destino della traccia, paradossalmente la meno valida del disco a cui dà il nome: si rivela piacevole, ma tra le altre scompare. Per fortuna, a questo punto la scaletta si ritira su con Arteries of Blacktop: comincia con un avvio ancora pesante, atmospheric sludge che sa anche un po’ di già sentito. Ma è solo l’avvio, perché presto il ritmo accelera, e dopo qualche melodia al di sopra spuntano ritmiche potenti e incalzanti, di influsso punk tutt’altro che vago. È un breve sfogo, ma di gran impatto, prima che il pezzo torni ad acquietarsi, con una breve apertura melodica che però lascia presto spazio a una falsariga e di gran potenza, ossessiva e truce. Va avanti a lungo spegnendosi progressivamente, finché tutto sembra finito; così non è, perché poi gli statunitensi ripartono con ancor più cattiveria, con un finale ritmico di potenza elevata. È uno dei passaggi topici di un brano che non impressiona rispetto a tanti altri, ma non importa: il livello resta buonissimo! È però un’altra storia con Full Moon, Black Water, con cui Nighttime Stories si chiude: riprende dalla coda lieve della precedente, su cui presto arriva a stagliarsi una chitarra acustica, docile e malinconica. Ma non dura molto, prima di dare il là a una traccia stavolta poco d’impatto e molto melodica, nostalgica, in cui i Pelican tornano alle loro influenze hard rock, a tratti preminenti. In questa prima parte, si alternano momenti più densi, di grande spessore emotivo, e altri di profilo più basso, distesi e avvolgenti anche grazie al ritorno di influssi post-metal; poi però la musica cambia. Poco prima di metà, gli americani svoltano su una falsariga più ombrosa e oscura, fatta di riff potenti incastrati tra loro su una struttura in continuo divenire, quasi progressive, ma ben impostata per evocare impatto. Lo fa sia all’inizio sia soprattutto nel magmatico finale: in mezzo c’è un lungo tratto più lieve ma dissonante, che aggiunge un tocco torvo e oscuro al pezzo. È un’aura potente, ma che poi si scioglie alla grande in chiusura, quando la norma iniziale torna, più liberatoria che mai. Va avanti per poco, prima di spegnersi in una coda di melodie post-rock: un finale adeguato per un episodio stupendo, il migliore in assoluto dell’album che conclude!
Per concludere, Nighttime Stories è un album ottimo e coinvolgente, più che degno di un nome più o meno noto come quello dei Pelican. Certo, c’è da dire che non è per tutti: già il post-metal è uno stile per pochi, ma quello strumentale che gli americani propongono lo è ancora di più. Se però ami questo genere di esperimenti, il consiglio è di dargli assolutamente una possibilità: di sicuro, parliamo di uno dei migliori esempi del genere negli ultimi anni!
Voto: 86/100
- WST – 03:11
- Midnight and Mescaline – 04:56
- Abyssal Plain – 04:48
- Cold Hope – 06:57
- It Stared at Me – 03:22
- Nighttime Stories – 06:35
- Arteries of Blacktop – 06:33
- Full Moon, Black Water – 08:01
- Trevor de Brauw – chitarra
- Dallas Thomas – chitarra
- Bryan Herweg – basso
- Larry Herweg – batteria
Sottogenere: atmospheric sludge/post-metal strumentale