Noctem – The Black Consecration (2019)
Pubblicato · Aggiornato
PRESENTAZIONE | The Black Consecration (2019), quinto disco degli spagnoli Noctem, è un lavoro che segna una svolta rispetto al predecessore Haeresis (2016). |
GENERE | Rispetto al passato, ha perso gran parte dei suoi influssi death e punta su un black metal molto classico, seppur non troppo stantio. |
PUNTI DI FORZA | Uno stile che non cade troppo nei soliti cliché, una composizione abile, buoni spunti. |
PUNTI DEBOLI | Una registrazione un po’ grezza, una relativa mancanza di hit, una certa omogeneità di contenuti, specie a livello ritmico – ma sono tutti difetti che incidono meno rispetto all’album precedente. |
CANZONI MIGLIORI | Sulphur (ascolta), Dichotomy of Malignancy (ascolta) |
CONCLUSIONI | The Black Consecration è un grande album: non farà gridare al miracolo, ma per i fan del black metal classico è un lavoro da scoprire! |
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Ho già avuto a che fare, in passato, con gli spagnoli Noctem. Nel 2017, avevo trovato il quarto disco Haeresis buono, seppur poco innovativo e con qualche difetto: è stato quindi con qualche dubbio che mi sono approcciato al successore The Black Consecration, uscito lo scorso primo novembre grazie a Art Gates Records. Ma questi dubbi sono caduti presto: parliamo di un disco non solo migliore, bensì diverso dal precedente. In primis, qui la band di Valencia ha reso il suo suono molto più scarno: rispetto al passato, sono spariti quasi tutti gli influssi death, mentre la base radicata nel black metal è stata esaltata. Quello di The Black Consecration è un suono molto classico, senza nulla di innovativo; tuttavia, i Noctem riescono ad affrontarlo con abilità, con buoni spunti e senza quasi mai ricadere in stilemi troppo stantii. Tradizionale è poi anche la registrazione, in cui la band segna un altro cambiamento: molto meno piena e nitida, molto più grezza, a tratti lo è anche troppo per i miei gusti, seppur di norma non dia molto fastidio. Le pecche maggiori di The Black Consecration sono altre: in parte si rivelano le stesse che già i Noctem avevano mostrato in Haeresis – oltre a essere quelle tipiche del metal di oggi. Parliamo di un disco con tanti bei pezzi ma poche hit, e soprattutto un po’ omogeneo, specie per quanto riguarda i ritmi: qualcosa che avevo già riscontrato nel precedente, e che affligge gli spagnoli anche qui. Ma lo fa in misura minore: in generale, si tratta di un album molto ben realizzato, in cui i pregi superano i difetti: non male per una band come i Noctem, che nel confronto col passato mi ha stupito in positivo!
L’iniziale The Black Consecration non si perde in troppi convenevoli: un breve intro statico, con la batteria ossessiva di Voor a reggere già un riff a zanzara a creare un effetto tenebroso, poi fugge. Ci ritroviamo allora in un ambiente subito angoscioso e cupo, black metal dei più tradizionali che fluisce veloce, con poco spazio per rifiatare. Nella sua struttura di base, si scambiano giusto momenti più duri e vorticosi, retti dal blast beat e altri invece di poco più lenti ma sempre convulsi e riottosi, con spesso lo scream strozzato di Beleth a dare più oscurità. Di tanto in tanto in questa progressione arrivano in scena delle venature di chitarra più melodiche, ma anch’esse contribuiscono a rendere il tutto più ombroso, e non spezzano la freddezza del paesaggio generale. Ciò accade solo nel finale, in cui spunta persino una certa nostalgia, molto avvolgente, sempre più forte fino a un breve outro di chitarra pulita. Per il resto, il brano procede con urgenza fino a culminare nei ritornelli: quasi ritualistici, vedono il frontman salmodiare con solennità su un panorama anche più pestato e caotico che in precedenza. L’unico momento in cui invece gli spagnoli rallentano è il al centro: anch’esso però si rivela ossessivo, strisciante e sinistro al massimo, integrandosi perciò bene all’interno del resto. Ne risulta una bella tempesta, di ottimo impatto generale anche nei suoi nove minuti di durata, mai noiosi: non sarà tra i picchi del disco, ma non è nemmeno troppo distante, e apre i giochi in grande stile! Va però ancora meglio con Sulphur, canzone più breve e lineare che comincia subito in fuga, con grande impatto ma anche un tocco riflessivo, data dalla melodia di chitarra che si sovrappone al riffage. È una falsariga che di tanto in tanto ritorna, seppur di norma la musica sia più lugubre: di solito le ritmiche sono spoglie e taglienti, con persino un vago retrogusto punk, e a tratti lasciano spazio a stacchi davvero martellanti e violenti. Ottima anche la sezione centrale, in cui la velocità si perde in qualcosa di caotico e dissonante, che solo col tempo riesce a trovare l’ordine e a ripartire con un piglio più aggressivo. In ogni caso, la sua cupezza è perfetta per coronare un episodio breve ma ottimo, uno dei picchi assoluti di The Black Consecration!
Uprising of the Impenitents inizia di nuovo con un assalto rabbioso, ma poi i Noctem cambiano strada su qualcosa di più lento, quasi doom, per quanto strisciante e nero come la notte. È un’alternanza che costituisce buona parte del pezzo, il che è uno dei suoi pregi ma al tempo stesso un difetto: se le parti lente sono ottime, quelle rette dal blast beat non spiccano tutte. Alcune si rivelano di gran valore, tipo quando il riffage di Exo diventa oscillante, disagevole, ma altri sono un po’ banali, sia rispetto a quanto sentito in precedenza che al black metal in generale. Perciò, spiccano poco; per fortuna, altri momenti ci riescono, come per esempio lo strano tratto al centro con la chitarra pulita, addirittura delicato (!), prima di un finale potente ma lento, senza più scatti. È una bella parte per un pezzo non del tutto riuscito ma piacevole: non impressionerà, ma nemmeno dà troppo fastidio! Anche Coven parte arrembante, di pura cattiveria, e col tempo non cambia: il rifffage stavolta è pesantissimo, come anche l’aggressività, che coinvolge bene. In questo assalto c’è spazio solo per una breve pausa, sinistra e breve, almeno all’inizio; verso il centro, infatti, la musica cambia strada. Ci ritroviamo in un atmosfera sempre di gran oscurità ma in qualche modo anche ansiosa senza più la cattiveria precedente neppure nei tratti più pestati. È un passaggio quasi introverso a modo suo, nonostante l’aggressività non manchi; essa però torna fuori con più forza nel finale, di nuovo selvaggio ma con un rinnovato calore, rabbia e pathos intersecati insieme. È il passaggio migliore di un episodio di alto livello, che anche in un album come The Black Consecration riesce a fare un’ottima figura! La seguente All That Now Belongs to the Earth parte sempre con forza, e a dispetto di un lieve senso di già sentito continua a incidere. La sua frenesia è sempre elevatissima, ma stavolta il riffage la segue meno, preferendo qualcosa di più basso e atmosferico: ne risulta un effetto vertiginoso e abissale, aiutato anche dagli stacchi in cui le chitarre girano in melodie vorticose. In più, nella seconda metà i Noctem tolgono il piede dall’acceleratore: è un lungo passaggio che ha sì i suoi scatti in blast e i suoi ritorni di fiamma, ma di norma si mantiene su qualcosa di lento e avvolgente. Con ancora un certo calore, persino mogio, risulta persino straziante; il bello, poi, è che gli spagnoli riescono a unirla bene ai passaggi più black e classici. Sono questi i segreti di un brano che non fa gridare al miracolo, ma si rivela comunque buono e godibile il giusto!
Let That Is Dead Sleep Forever si può definire a pieno titolo una scheggia impazzita: nella sua breve durata, sono pochissimi i momenti di pausa. Per il resto, le ritmiche fluiscono con forza, scambiando escalation magmatiche e momenti di norma meno esplosivi ma nervosi, ossessivi, di gran cattiveria. Si tira il fiato solo al centro, per un paio di stacchi sempre tesi che circondano una nuova deflagrazione, davvero estrema. Per il resto, abbiamo un brano piuttosto lineare ma di buon impatto: non sarà così significativo, ma colpisce bene! Per una volta, la seguente Court of the Dying Flesh non parte subito sparata a mille, ma se la prende comoda, con un riffage a zanzara da sola a seguire una melodia lenta, dimessa, tenebrosa. Solo dopo più di un minuto inizia la valanga ritmica tipica degli spagnoli: tuttavia, stavolta c’è anche spazio per qualche novità. Per esempio, il fatto che tratti più dissonanti e tipici da black si alternino con altri di influsso death, con ritmiche basse e truci che arricchiscono il genere principale della band. Per la prima parte, non c’è altro che questo scambio, impostato in maniera piuttosto precipitosa, ma poi gli iberici cambiano direzione. Un assalto riottoso a di black/death arrabbiatissimo, quindi la musica si acquieta: un breve stacco vuoto gestito dal basso di Varu, poi Voor dà il via a una nuova fuga, meno potente ma più acida e feroce. Anche questa però dura poco, prima che il panorama si riapra con un momento espanso più lungo, a tinte doom nonostante lo scream di Beleth a renderlo riottoso: quando si spegne, tutto sembra finito. Poi però il riff iniziale riparte, presto ripreso dalla sezione ritmica in versione veloce ma non pestatissima: va avanti per parecchio, circolare e dilatato. Porta bene al termine un pezzo di alto valore: non sarà tra i migliori di The Black Consecration, ma non è neppure troppo lontano da quel livello! Per concludere la scaletta, i Noctem scelgono quindi Dichotomy of Malignancy, che esordisce con un piglio black metal più che classico. Lo è anche la melodia di fondo disegnata dal riff, che tuttavia incide alla grande, grazie all’urgenza evocata e ai tanti piccoli dettagli che i Noctem inseriscono al suo interno. Così, a tratti è la chitarra di Exo a disegnare melodie che lo seguono, altrove invece il tutto è meno angoscioso e più duro, mentre nel finale lo scenario diventa persino celestiale; tutti questi momenti hanno però la stessa base. Ne risulta una corsa ossessiva, persino ipnotica, che va avanti a lungo e si spegne solo al centro, con un tratto anche più espanso e brullo, almeno all’inizio, seppur subito dopo il ritmo torni ad accelerare e la chitarra cominci a disegnare quasi un assolo sul tema portante. Fa più o meno lo stesso, seppur in maniera più serrata, anche il convulso e ansioso finale: è la chiusura di un gran bel pezzo, il migliore del disco che chiude insieme a Sulphur!
Per concludere, forse The Black Consecration è un disco ben poco adatto a chi cerca qualcosa di nuovo all’interno del black metal, che non vi troverà nulla di appetibile. Per tutti gli altri, però, è degno d’attenzione: non sarà memorabile, ma rimane comunque un salto all’indietro valido e godibile nell’epoca d’oro del genere negli anni novanta, ma senza troppa nostalgia e troppi cliché triti e ritriti. Non male, considerando ciò che il genere è diventato negli ultimi decenni: anche per questo, credo che gli appassionati del black tradizionale dovrebbero dargli almeno una chance!
1 | The Black Consecration | 08:55 |
2 | Sulphur | 04:48 |
3 | Uprising of the Impenitents | 04:37 |
4 | Coven | 04:48 |
5 | All That Now Belongs to the Earth | 05:03 |
6 | Let That Is Dead Sleep Forever | 03:33 |
7 | Court of the Dying Flesh | 07:04 |
8 | Dichotomy of Malignancy | 04:42 |
Durata totale: 43:30 |
Beleth | voce |
Exo | chitarra |
Varu | basso |
Vor | batteria |
ETICHETTA/E: | Art Gates Records |
CHI CI HA RICHIESTO LA RECENSIONE: | l’etichetta stessa |