Ghost on Mars – Lost Signals (2019)
Pubblicato · Aggiornato
PRESENTAZIONE | Lost Signals (2019), EP d’esordio dei romani Ghost on Mars, è un lavoro un po’ acerbo ma interessante |
GENERE | Un mix moderno di doom metal dalle tendenze “post” e progressive con in più diversi influssi |
PUNTI DI FORZA | Un suono originale dato da melodie più orecchiabili della media del genere, atmosfere avvolgenti e malinconiche, un gran potenziale ancora tutto da esprimere |
PUNTI DEBOLI | Un po’ acerbo, una lieve mancanza di direzione, giustificabili però dalla giovane età |
CANZONI MIGLIORI | The Black Rose (ascolta), Behind the Sun (ascolta), From the Darkness (ascolta) |
CONCLUSIONI | Lost Signals si rivela un buon lavoro, sia nel presente che soprattutto in chiave futura: dalle sue tracce, i Ghost on Mars emergono come una band molto promettente! |
ASCOLTA L’ALBUM SU: | Bandcamp |
ACQUISTA L’ALBUM SU: | Amazon | Bandcamp |
SCOPRI IL GRUPPO SU: | Facebook | Instagram | Youtube | Metal-Archives |
Nel corso di molte recensioni, mi è capitato in certi casi di lamentarmi di come la frenesia del nostro mondo moderno finisca a volte per condizionare anche il metal. Sempre più spesso, i gruppi sono travolti dalla fretta di mettersi subito alla prova e di pubblicare album, senza far prima la giusta gavetta: in molti casi, il risultato è l’uscita di prodotti sbrigativi e immaturi, con pochissimo da dire. Per fortuna però non è così sempre: c’è anche chi brucia le tappe con cognizione di causa, avendo già buone idee e la capacità di applicarle in modo efficace, come hanno fatto i Ghost on Mars. Nati a Roma appena nel 2019, già nel corso dello scorso anno hanno pubblicato il loro EP d’esordio Lost Signals: un lavoro non ancora del tutto maturo, è vero, ma per niente frettoloso. Al suo interno i capitolini mostrano già qualità e personalità, a partire dallo stile: parte da una base doom/post-metal del tipo più calmo e atmosferico sviluppato negli ultimi anni, a cui aggiunge forti influssi da un progressive altrettanto moderno. In Lost Signals sono presenti inoltre venature groove metal, metalcore e anche elementi da altri generi: il tutto è funzionale allo scopo primario dei Ghost on Mars, quello di creare atmosfere avvolgenti, di gran malinconia. Peraltro, è un intento che ai capitolini riesce bene: dalla loro parte non c’è solo la personalità, ma la capacità di creare buone melodie, meno di nicchia e più orecchiabili di gran parte dei loro generi di riferimento. Vengono aiutate in questo anche da brani con strutture generali semplici, seppur pieni di dettagli interessanti ad analizzare a fondo: da questo punto di vista, è percepibile l’attenzione e la cura che i Ghost on Mars vi hanno infuso. Certo, a tratti Lost Signals risente un po’ della fretta con cui i romani lo hanno approntato: come accennato prima, da queste tracce emerge una band un filo acerba, con le idee ancora non del tutto chiare. A livello musicale, infatti, l’EP esplora in diverse direzioni, il che a tratti lo fa perdere: di sicuro, in futuro i capitolini dovranno percorrerne meno in maniera più convinta. Ma non è una gran pecca: in fondo, anche così parliamo di un lavoro non solo promettente, ma pieno di spunti degni di nota!
La opener The Black Rose parte da un arpeggio di chitarra quasi da rock alternativo: una sensazione acuita dalla melodia cantata dalla bella, musicale voce di Moreno Sangermano – peraltro in bella mostra in tutto l’EP. Pochi secondi, però, e il verso cambia: ci ritroviamo in un pezzo doom espanso, semplice e arcigno, di chiaro orientamento post-metal, un fatto confermato poi anche dalle melodie che presto spuntano in sottofondo. Questa norma si ripropone ogni tanto, corredata a tratti anche dal growl alto del vocalist: lungo il pezzo, si alterna con frazioni più spoglie, piene di chitarre pulite, a metà tra post-rock ed echi progressivi. Il loro scambio conduce alla fine a quelli che si possono considerare i ritornelli: svoltano su vortici di melodie, ossessivi quasi come dei loop da musica dance, non fossero fatti dalle chitarre di Francesco De Honestis e Fabio Valentini. Ma di certo l’effetto è diverso: aggiungono profondità a una parte molto espansa, atmosferica, ma che sa incidere anche a livello atmosferico con la sua notevole malinconia. La struttura inoltre è semplice: come variazione, c’è spazio solo per una lunga coda finale, espansa e nostalgica come il resto nella sua delicatezza, fatta di chitarre echeggiate che creano un’aura dilatata. È la giusta chiusura di un ottimo pezzo, uno dei migliori in assoluto del disco! La successiva Lost Signal comincia calma, quasi serena, con arpeggi puliti e la voce delicata di Sangermano al di sopra; dopo pochi secondi però i Ghost on Mars svoltano con decisione verso la potenza. All’inizio i giochi sono anche melodici: è la chitarra di De Honestis a disegnare un lead profondo, anche sopra a una base riottosa, ma poi quest’ultima prende il sopravvento. Il pezzo si evolve infatti in un senso sempre più energico, doom circolare e vorticoso con anche qualche rinforzo groove metal a tratti, che aiuta il macinare potente del tutto. Va avanti fino a toccare un apice, in cui spunta di nuovo il growl: poi però il tutto si apre in refrain invece molto melodici, che cercano l’intensità emotiva. Seppur la loro melodia non incida come altrove, è un intento che riesce loro in maniera discreta, che li rende piacevole; tuttavia, risultano lo stesso il momento meno bello del pezzo. Per il resto, incidono bene sia l’impostazione di base che la variazione al centro, più bizzarra e di influsso post-rock: anche per questo, nonostante il suo difetto, abbiamo un buon brano, che non esalta ma non dà neppure fastidio!
That Time I Saw the Moon inizia con un fraseggio di chitarra psichedelico: quasi subito viene accompagnato da un riff doom, ma poi la direzione cambia. Sulla guida della cassa di Andrea Alberati, il riffage diventa più spigoloso e si orienta al metalcore: un influsso che poi monopolizza l’intero pezzo. Ammanta sia le strofe, di basso profilo ma già piuttosto cadenzate e oblique, sia i chorus, che dopo brevi bridge di nuovo espansi si pongono a metà tra le classiche melodie dei capitolini, di stampo progressivo e quelle degli omologhi tipici del genere. Nonostante questo, però, il tutto non stona: gli stilemi post-metal dei Ghost on Mars sono ancora presenti, come lo è la voce di Sangermano, che invece del classico scream continua a disegnare belle melodie. Buona si rivela anche la parte centrale, all’inizio la più metalcore del pezzo con le sue ritmiche debordanti; poi però svolta verso lidi più prog che alla fine si prendono la scena con delicatezza. Collabora bene a un episodio valido, che incide anche a dispetto della notevole differenza col resto di Lost Signal: un fattore che incide sulla sua resa, ma in fondo non troppo! Behind the Sun torna quindi in una dimensione meno incalzante e più dilatata sin dall’inizio, col solito arpeggio a cui la band romana ci ha abituato. Evoca da subito un’aura dimessa, triste, crepuscolare: è proprio questa la guida della traccia, presente anche nei momenti più potenti, con un bellissimo riff, quasi da doom metal classico. In questa parte si alterna spesso con tratti più movimentati, dotati di un riffage rockeggiante: uno scambio perfetto per ispirare un gran pathos, compito affidato al cantante aiutato dalle melodie di chitarra alle sue spalle. In pratica, a parte una coda che prolunga quest’ultima norma per poi spegnersi in un outro a metà tra post-rock e ambient non c’è altro in un pezzo breve, ma significativo e di buonissimo livello! Va però ancora meglio con From the Darkness, che lascia da parte il calore sentito fin’ora per un attacco preoccupato: come dice i titolo stesso, evoca da subito una gran cupezza. La melodia stavolta ha quasi un retrogusto black, e viene aiutata a incidere da una base doom espansa e arcigna: poi però la struttura cambia strada. Ci ritroviamo allora in un vortice oscuro, abissale, con una base in cui i Ghost on Mars mostrano più influssi groove rispetto a quanto abbiano fatto fin’ora in Lost Signals – seppur il doom rimanga ben presente. Ne risulta un ibrido che evoca un’oscurità densa e di gran impatto, e ad accumulare una tensione che poi però si scioglie nei liberatori ritornelli. Semplici ma di gran impatto grazie ad armonie che recuperano il calore precedente, si pongono addirittura lancinanti, e riescono a incidere alla grande. Ancora una volta, inoltre, la struttura è semplice, con quest’alternanza che si perpetra fin quasi al finale, prima di un momento di puro spirito progressive e quindi una ripresa del lato più arcigno del pezzo, con Sangermano che passa al growl. È il miglior finale possibile per un pezzo grandioso, il migliore dell’EP che chiude insieme alla opener!
Per concludere, Lost Signals è un esordio non eccezionale ma già di qualità molto buona. Soprattutto, è un EP che mette già parecchia carne al fuoco, ben evidente anche dietro alle sbavature e all’immaturità dei Ghost on Mars, che si rivelano una band molto promettente in chiave futura. Non posso far altro che augurarmi che crescano bene e riescano a lavorare per superare i loro limiti: di sicuro le grandi potenzialità che dimostrano meritano di essere valorizzate al meglio. Ma soprattutto, lo meritano gli ascoltatori: in un mondo come il metal in cui la maggior parte delle band non fa altro che ispirarsi al passato, la personalità del loro suono è preziosa e importante!
1 | The Black Rose | 05:23 |
2 | That Time I Saw the Moon | 05:26 |
3 | Lost Signal | 05:04 |
4 | Behind the Sun | 03:52 |
5 | From the Darkness | 05:09 |
Durata totale: 25:24 |
Moreno Sangermano | voce |
Francesco De Honestis | chitarra |
Fabio Valentini | chitarra |
Valerio Lippera | basso |
Andrea Alberati | batteria |
Matteo Ferretti | tastiera, effetti |
Etichetta/e | autoprodotto |
Chi ci ha richiesto la recensione: | la band stessa |