Neorhythm – Terrastory (2020)
PRESENTAZIONE | Terrastory (2020), concept sulla storia della Terra, è il secondo full-length dei russi Neorhythm. |
GENERE | Uno stretto abbraccio tra groove metal e metalcore venato di post-metal, con in più influssi djent, progressive e più estremi. |
PUNTI DI FORZA | Uno stile interessante e ben amalgamato, un grande impatto, una cura più che adeguata per quanto riguarda le atmosfere, qualche ottima trovata. |
PUNTI DEBOLI | Un’impostazione un po’ verbosa a causa del concept, una scaletta molto ondivaga, un talento che viene fuori solo a sprazzi. |
CANZONI MIGLIORI | Fight for Fire (ascolta), Zeus Rule! (ascolta), The Critique of Dark Reason (ascolta) |
CONCLUSIONI | Seppur i Neorhythm dovranno regalarci un disco meno frettoloso e meglio composto in futuro, Terrastory rimane un buon album, a cui vale la pena concedere almeno qualche ascolto. |
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“Luci e ombre”: volendo usare una frase fatta, così si può descrivere bene Terrastory, secondo album dei Neorhythm, duo nato in Russia appena nel 2017. Si tratta un disco interessante in molti spunti, ma mostra anche la troppa fretta di una band che in soli tre anni di esistenza ha già pubblicato due full-length. Da un lato, si nota una certa immaturità, e anche un po’ di approssimazione: per esempio, a tratti i Neorhythm sono un po’ verbosi, col cantato che prende il sopravvento sulla musica. Colpa forse del fatto che Terrastory sia un concept sulla storia della Terra e soprattutto dell’umanità, il che però non è una giustificazione. Ma il vero problema è nella scaletta: non tutte le canzoni al suo interno sono al livello delle migliori, e non tutti i passaggi brillano al meglio. In generale, è come se il talento dei Neorhythm funzioni a intermittenza: sì, perché Terrastory mostra che ai russi la bravura non manca. Parliamo di un lavoro interessante a partire dal genere, uno stretto abbraccio tra groove metal e metalcore, in cui non si capisce dove inizia l’uno e finisce l’altro. È uno stile spigoloso, quadrato e moderno, che ricorda i Meshuggah del periodo più groove, seppur con meno influssi djent, pur presenti. In più, i Neorhythm si aiuta con alcune influenze, a tratti progressive e tecniche, altrove più estreme. Soprattutto però Terrastory brilla per la sua tendenza verso il post-rock e il post-hardcore: una componente integrata alla grande dal duo nel suo genere.
Seppur non originalissimo, si tratta di un genere personale; i russi hanno però tanto da offrire anche a livello di songwriting. Per esempio, possono contare su una gran capacità di creare potenza: certi riff sono davvero eccelsi per impatto, e non solo. Se spesso il comparto ritmico non è troppo distanza dalla media di groove e metalcore, il gruppo è abile a non copiare nessuno, a non cadere nei soliti cliché. Inoltre, al contrario di tanti dischi del genere, Terrastory è ben studiato anche dal punto di vista delle atmosfere, cupe e malate. Impostate dai Neorhythm con diverse sfumature sulla stessa oscurità, non annoiano mai, e anzi spesso sono il lato dove il gruppo fa meglio. Mettiamoci anche diverse trovate interessanti, e abbiamo un lavoro che avrebbe il potenziale di essere ottimo, o forse anche di più. Peccato solo che così non è stato: come già detto all’inizio, i Neorhythm mostrano la propria bravura solo a sprazzi. Il che, come leggerai nel corso della recensione, rende Terrastory un’occasione in parte persa.
L’iniziale Mirovia non è che l’intro di rito: comincia da suoni ambientali sordi, da cui in breve emerge il ticchettio di un orologio. Dà un ritmo su cui poi compaiono anche delle chitarre pulite: scandiscono all’inizio arpeggi lenti, dimessi. Ma poi il tutto si addensa, con l’entrata in scena della sezione ritmica che inietta un tocco post-rock: anche questo dura poco, prima che il metal esploda, una breve escalation piuttosto aggressiva che in un attimo si è già spenta. Nel giro di un attimo però Photosynthesis and Its Aftermath entra in scena con potenza. Il suo riff di base mostra il lato più metalcore della band russa, pieno di asperità nella sua natura scattosa. È una norma che torna solo a tratti nel pezzo: seppur i ritornelli ne mantengano l’essenza, sono più aperti e groove, con la voce di Telkw che urla parecchio ed evoca una bella angoscia. A tratti però la struttura si apre: succede nelle strofe, che mantengono una delicatezza post-rock anche quando il lato più pesante dei Neorhythm arriva a rafforzarle. È uno scambio ottimo: meno buono, ma giusto di poco, si rivela invece l’avvio del tratto centrale, un po’ troppo nei cliché metalcore per i miei gusti. Ottima invece la seconda, grassa e potente: arricchisce un ottimo pezzo, che nonostante il lieve difetto apre Terrastory a dovere. La successiva Milken Step of Humankind si apre molto dissonante, con un riffage di influsso post-hardcore, di buon effetto “crunch”. È una base che torna a tratti: insieme al cantato del frontman fa da ponte tra strofe e ritornelli. Quando le prime sono ottime, con il loro vuoto riempite da echi di chitarre e del basso roccioso, imperante di Mag, oltre che da una chitarra pesante nella loro evoluzione, lo stesso non si può dire dei secondi. Molto più espansi, perdono però parecchio in fatto di mordente, specie in confronto al resto. Resto che per fortuna è ben fatto: oltre alla struttura di base, si rivela ottima anche il tratto centrale, di nuovo orientato al metalcore. È un buon contraltare per un pezzo che non fa gridare al capolavoro, ma tutto sommato si rivela discreto, e nella scaletta non stona troppo.
Brano di lancio di Terrastory, Fight for Fire ci mostra sin dall’inizio un lato dei Neorhythm più energico e rabbioso. All’inizio il suo impatto è scomposto, quasi progressivo, ma presto i russi si fanno più aggressivi: il riffage rimane sempre spezzettato ma diventa più diretto. Nonostante la velocità non si alzi mai troppo, grazie alla doppia cassa di Mag e a un importante lavoro ritmico, il tutto si rivela alienante e di gran urgenza. Merito anche di qualche influsso death ben presente qua e là nei momenti più vorticosi. Ma c’è spazio anche per alcune aperture, come per esempio i refrain: più lineari, hanno la giusta carica truce grazie a Telkw e al riff obliquo alle sue spalle. Ma anche il resto non scherza: in generale, parliamo di un pezzo potente e pieno di grandi incastri, che nonostante la brevità si rivela tra i picchi del disco. Zeus Rules! comincia quindi tranquilla, ma in qualche modo preoccupata: un’aura mantenuta da buona parte della canzone successiva. Di sicuro, è forte nei ritornelli, in cui torna fuori una vena post-metal e in parte anche punk a tratti, specie quando sono più potenti. Altrove infatti la loro norma sia apre di più e si fa più ombrosa: ciò però non gli impedisce di sposarsi bene con l’aura del resto. Peraltro, anche le potentissime strofe, di stampo groove moderno, hanno un che di scomodo, di strisciante. Lo stesso vale per la frazione centrale, macinante e cattiva: un altro buon elemento per un episodio di gran spessore, poco lontano dal meglio di Terrastory!
Con Empire Glory, i Neorhythm lasciano da parte la semplicità diretta sentita fin’ora per qualcosa di più articolato. L’attacco è piatto ma in maniera voluta: dura poco, per lasciar poi spazio a qualcosa di strano, gestito prima dal basso per poi votarsi al groove. Sembra l’inizio di una grande escalation, ma poi la musica si acquieta, in una sezione di cupissime chitarre post-rock echeggiate. Si tratta di un saliscendi che si ripete un paio di volte nella struttura, seppur con alcune variazioni di rilievo: la rendono tutt’altro che prevedibile. In ogni caso, i russi di norma sono abili a gestire la complessità, con diversi passaggi ben riusciti: qua e là però c’è qualche frangente che lascia a desiderare. Citerei per esempio quello centrale, che cerca di essere sia atmosferico che potente, ma fallisce in entrambi i compiti e suona insipido. Ma c’è anche qualche bel passaggio che spicca: penso per esempio a quello centrale, in principio teso e duro per poi aprirsi però nell’ottimo assolo di Mag. Tra pregi e difetti, ne risulta un brano non eccezionale ma di buona qualità. È però tutt’altra storia con The Critique of Dark Reason, che dopo quello che dev’essere il canto di un sacerdote (intona “Kyrie Eleison”, il nome di una delle più antiche preghiere cristiane) esplode col suo riff di base. È lo stesso che regge i chorus: lenti ma grassi, di impatto assoluto, vengono aiutati in ciò da Telkw, con la sua melodia vocale urlata e riuscitissima, tutta da cantare. È così efficace che non annoia pur venendo ripetuta a lungo, a volte anche in delle code più lente e truci: sono quasi breakdown, ma più groove/death metal che metalcore. I Neorhythm alternano questa norma a strofe strisciante, post-rock del tipo più oscuro che si possa immaginare che poi confluiscono in bridge molto stridenti. Ottimo anche lo strano passaggio centrale, death melodico riletto però in una chiave alienante e circolare. Lo stesso vale per il tratto di trequarti, che inizia obliquo, con un vago accenno progressive, per poi svilupparsi in un assolo crepuscolare. Sono due arricchimenti per un pezzo splendido, il migliore di Terrastory con Fight for Fire.
Sapere Aude ha un avvio quasi stordente, col suo riffage a valanga a tratti reso ancor più terremotante dalla doppia cassa. Quest’essenza permane in parecchi momenti della traccia: tra lanci metalcore e frazioni più lineari e groove, a tratti la norma è davvero di gran pesantezza. Non mancano però delle notevoli aperture: alcune mantengono la frenesia del resto, altre si dilatano parecchio. Succede per esempio nelle due centrali: quando la prima è lieve, la seconda è più intensa e potente. In ogni caso, queste due anime collaborano bene in diversi frangenti: l’esempio migliore di ciò è al centro, una sezione strumentale di altissimo livello. Altrove però stonano un po’: in generale, il pezzo ha un bell’impatto, ma per il resto non impressiona più di tanto. Seppur non stoni in Terrastory, non riesce neppure a spiccare al suo interno. Lo stesso vale, molto di più, per Global Mayhems, in cui i Neorhythm tentano un approccio più estremo per lunghi tratti. Lo si sente sia nei bridge, striscianti e lenti tanto da avere quasi un retrogusto death/doom, sia nei ritornelli, in cui Mag sfodera il blast beat e Telkw è molto aggressivo. Già questa norma non è il massimo, ma quando si mescola con una falsariga più classica per i russi, col suo groove/metalcore quadrato, stona parecchio. Se quest’ultima è valida, il contrasto che si crea è poco riuscito: non aiuta poi l’assenza di qualsiasi spunto memorabile, come i diversi sentiti in precedenza. Il risultato è un riempitivo senza infamia e senza lode: non è del tutto da buttare, ma in un album così rappresenta di gran lunga il punto più basso.
Information Age torna a far rialzare la testa al disco, seppur non troppo. Il suo riff iniziale è orecchiabile, e colpisce bene con la sua natura circolare e potente. Ancor meglio fanno le strofe, più metalcore che mai e spigolose al punto giusto, ma al tempo stesso veloci come il metal estremo insegna. Ne deriva un ottimo impatto, che si conserva poi anche nei passaggi invece più quadrati e tipici per il genere, e in quelli grassi a cui il duo ci ha abituato. Purtroppo però in tutto ciò c’è spazio anche per ritornelli non all’altezza: obliqui e potenti di base, sono rovinati da una melodia vocale quasi allegra, che nell’aura ombrosa del resto stona tantissimo. Per fortuna, tutto il resto riesce a minimizzare l’effetto di questo problema: citerei tra tutti anche la parte centrale, in perfetto equilibrio tra una prima parte melodica e una grintosa successiva. Nel complesso, parliamo di un brano buono, anche se rimane un rammarico: senza il difetto, poteva forse essere eccezionale! A questo punto, in Terrastory non c’è rimasto spazio altro che per Anticipations, in cui i Neorhythm tornano a esprimersi al meglio dopo qualche pezzo un po’ appannato. Dopo un breve intro distortissimo, entra subito in scena con un riff spezzettato, a metà tra groove metal e pulsioni tecniche, ben udibile nel ritmo scomposto. È un’impostazione che accompagna il pezzo a lungo, con diverse variazioni tutte abbastanza tortuose di base, oltre che potenti. Più lineari sono soltanto i ritornelli: diretti, con un’altra melodia più ariosa, stavolta però colpiscono bene con un’angoscia di fondo notevole. Ottima anche la sezione centrale, riflessiva ed espansa, in cui i russi esprimono per l’ultima volta i loro influssi post-rock. È un arricchimento per un ottimo pezzo, un finale più che adeguato per un disco così!
Per concludere, alla fine Terrastory non è niente male. Con qualche bella zampata e una sostanza di buon livello, vale la pena di concedergli almeno qualche ascolto. Tuttavia, spero che in futuro i Neorhythm ci regalino un disco meno ondivago. Quando viene fuori, il loro talento è almeno ottimo, e il gruppo dovrebbe sfruttare meglio, per sé stesso ma anche per la musica. Coi tanti gruppi scontati esistenti che li suonano senza un perché, il groove metal e il metalcore hanno sempre bisogno di qualcuno che riesce ad affrontarli in maniera fresca come il duo russo. Che dire: speriamo che in futuro il gruppo riesca a maturare e a sviluppare al meglio le proprie potenzialità!
1 | Mirovia | 02:07 |
2 | Photosynthesis and Its Aftermath | 04:04 |
3 | Milken Step of Humankind | 04:07 |
4 | Fight for Fire | 02:59 |
5 | Zeur Rules! | 04:38 |
6 | Empire Glory | 06:04 |
7 | The Critique of Dark Reason | 04:49 |
8 | Sapere Aude | 03:53 |
9 | Global Mayhems | 04:05 |
10 | Information Ange | 04:36 |
11 | Anticipations | 03:51 |
Durata totale: 45:18 |
Telkw | voce |
Mag | tutti gli strumenti |
ETICHETTA/E: | autoprodotto |
CHI CI HA RICHIESTO LA RECENSIONE: | Clawhammer PR |