Thecodontion – Supercontinent (2020)
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PRESENTAZIONE | Supercontinent (2020), è il primo album dei Thecodontion, band Italiana fondata a Roma nel 2016. |
GENERE | Un aggressivo, martellante e creativo death metal che unisce chiari riferimenti black e post-metal in un contesto tutto arcaico e geologico. |
PUNTI DI FORZA | Il basso prende il sopravvento su tutti gli strumenti, specialmente per l’assenza delle chitarre in fase di accompagnamento, presentando una struttura varia e eterogenea che rende avvincente ogni brano. |
PUNTI DEBOLI | – |
CANZONI MIGLIORI | Ur (ascolta), Vaalbara (ascolta) |
CONCLUSIONI | Supercontinent è un album ben realizzato e particolare, capace di dare al metal estremo una fisionomia del tutto nuova. |
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Scavando sempre più a fondo nella scena underground italiana, si possono notare tante band che, per una miriade di motivi, riescono ad essere apprezzate e riconosciute anche dal grande pubblico: si possono considerare i Fleshgod Apocalypse o gli Antropofagus, ma ci sono altre realtà che, anche se nate da poco tempo, già riescono ad attirare una forte attenzione verso di loro. L’esempio più pratico, non possono essere che i Thecodontion.
Il duo romano, attivo dal 2016, ha avuto modo di esprimersi con la prima demo Thecodontia (2018) e l’EP Jurassic (2019), quest’ultimo ritenuto come uno dei dischi estremi più interessanti dell’anno passato. Continuando su questa scia, la band rilascia nel 2020 il primo full-length Supercontinent sotto la I, Voidhanger Records, etichetta tutta italiana che negli anni ha pubblicato, e continua a pubblicare, dischi sempre particolari e in qualche modo unici. Questo, ovviamente, non è un caso se si fa riferimento proprio allo stile dei Thecodontion, riassumibile in quattro semplici parole: “No guitars, only death!“
G.E.F., ovvero Giuseppe Emanuele Frisone, e G.D., Giuseppe D’Adiutorio, hanno preso una scelta coraggiosa per una band dall’ossatura prettamente metal: rinunciano alle chitarre, preferendo una coppia di bassi distorti fingerpicked, più un terzo basso per gli assoli, dando vita ad un aggressivo, martellante e creativo death metal che unisce chiari riferimenti black e post-metal in un contest tutto arcaico e geologico che porta a esplorare il pianeta Terra dei tempi antichi, quando supercontinenti si formavano e poi si spezzavano, in uno scenario di terremoti e vulcani in eruzione. Di primo impatto, ci si aspetta un’opera violenta e frenetica, ma ci si renderà subito conto di imbattersi in numerosi momenti di sorprendente fantasia compositiva, nonché di tracce che si diversificano in momenti più lenti e pesanti.
Dopo una partenza abbastanza convenzionale, post-metal con Gyrosia e un misto di black, thrash e death di Vaalbara, sopraggiunge la terza Ur, un brano magmatico, con il basso sempre padrone della scena e che, unito alla voce dell’islandese Skaðvaldur e ai ritmi di batteria, ha la capacità di essere particolarmente evocativa. Nei momenti in cui i nostri rallentano e danno sfogo a melodie e a ritmiche rocciose, si ha come l’impressione di catapultarsi in una dimensione parallela in cui è possibile guardare dall’alto il pianeta, con enormi pezzi di terra che lentamente si dividono portando con loro cambiamenti climatici, tutto in un asfissiante death/doom con aperture al limite della psiche. Le calde atmosfere proseguono nel furioso death preistorico e tribale di Kenorland o nella potentissima Nuna. Una dimensione visionaria alla quale si affiancano un’apertura al post-metal atmosferico, come la breve Tethys o la ridondante Panthalassa, e un momento di primitivismo come Pangea, preistorica e viscerale con uno slancio ritualistico e suggestivo che attraversa l’album.
L’aggettivo che più qualifica questo album è sicuramente “curioso”. In un genere come il metal, che fa dei riff di chitarra un elemento fondamentale, è in generale strano entrare in contatto con una proposta che lascia così tanto spazio allo strumento che più di tutti viene penalizzato. Il rischio di creare vuoti c’è tutto, ed ecco il perché dell’importanza delle melodie e del lavoro solista in generale. I vuoti vengono riempiti anche dalla voce, in continuo movimento tra diverse inclinazione di growl e scream e in alcune fasi arricchita da effetti ben ragionati. Supercontinent è sicuramente l’album che ha lanciato definitivamente i Thecodontion nella scena metal italiana, con uno stile che nessuna band è mi riuscita a proporre, in quanto si incentra in un immaginario perfettamente corrispondente con il loro nome (in quanto “Thecodontia” si usava indicare tutta una serie di arcosauri primitivi).
1 | Gyrosia | 02:09 |
2 | Vaalbara | 04:12 |
3 | Ur | 06:33 |
4 | Kenorland | 04:24 |
5 | Lerova | 02:24 |
6 | Nuna | 06:02 |
7 | Rodinia | 03:52 |
8 | Tethys | 01:58 |
9 | Laurasia-Gondwana | 03:06 |
10 | Pangaea | 07:37 |
11 | Panthalassa | 02:41 |
Durata totale: 44:58 |
G.E.F. | voce |
G.D. | basso |
V.P. | batteria |
Skaðvaldur | voce (traccia 3) |
J.G.P. | chitarra baritona (traccia 9) |
R.C. | voce addizionale (traccia 10) |
ETICHETTA/E: | I, Voidhanger Records, Repose Records |
CHI CI HA RICHIESTO LA RECENSIONE: | la band stessa |