Strike Hard è il nome del secondo album prodotto dagli inglesi Airforce, quartetto heavy metal in cui figura anche Doug Sampson (batterista della prima ora negli Iron Maiden). Lo stile scelto per questo nuovo lavoro non si discosta quasi per nulla dal primo ed è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da una band del genere: un heavy duro e puro che affonda le sue radici nella storia.
Nonostante questa scelta che in un primo momento sembrerebbe porre la formazione britannica in una posizione relativamente comoda, il disco non ha quel mordente che lo possa rendere interessante. Il risultato finale è abbastanza inconcludente per una serie di motivi; in primis è impossibile non notare quanto la performance vocale di Flávio Lino sia altalenante al punto da compromettere la “stabilità compositiva” dei brani. Quando c’è da spingere su toni più aggressivi offre un buon apporto nel complesso, ma lo sforzo compiuto nel tentativo di ricostruire in pieno il cantato classico dell’heavy manca della giusta efficacia. In secondo luogo, gli Airforce si limitano a dare seguito ad una forma espressiva superata dal tempo e che – come spesso ci diciamo su queste pagine – merita di essere ripensata o, quantomeno, trattata con enorme cautela se si vuole ottenere un prodotto discografico accettabile. Che l’heavy metal sia una branca della musica pesante in grado di dar sfogo all’estro creativo senza curarsi troppo della forma è chiaro a tutti. Certo, i dischi che hanno fatto la storia del genere potevano vantare una classe cristallina che ne metteva in risalto i punti di forza in modo inequivocabile; ma quando, a decenni di distanza, si cerca di replicare quelle stesse intenzioni servendosi degli stessi mezzi comunicativi il rischio di risultare banali è sempre elevato. Purtroppo la seconda prova degli Airforce non ci aiuta ad inquadrarli come band con una proposta chiara, ma li mantiene nel nutrito calderone dei gruppi che a forza di guardarsi indietro rischiano il torcicollo.