Esattamente come lo scorso anno, anche il 2020 ha registrato vari esordi di band validissime, e un esempio è proprio quello che sto per presentarvi. I Vacant Eyes sono un gruppo proveniente da Easthampton, in Massachusetts, dedita ad un genere si cui non si sente molto parlare, ma che offre sempre lavori di qualità. Si tratta del funeral doom metal, quel sottogenere lento, oscuro, tetro, ma che riesce sempre ad essere in qualche modo onirico ed evocativo: un concentrato di atmosfere ammalianti che trasportano in una dimensione parallela caratterizzata da incredibili sfumature. Direi che sia giusto, quindi, partire da questo incipit per presentare A Somber Preclusion of Being, l’album d’esordio dei Vacant Eyes, un’opera colossale in cui la matrice doom viene alimentata da momenti black metal, sonorità gotiche, riffing e voce death metal, per creare canzoni dal mood tipicamente oscuro. La voce di Josh Moran è dotata di un growl profondo che ben si amalgama alle tastiere di Mark Richardson, alle chitarre lineari di Alex Smith, al basso monolitico di Grim Riley e alla batteria di Chris Kudukey. Il quintetto, che sotto molti aspetti si allinea allo stile inglese dei My Dying Bride e degli Esoteric, riesce a creare atmosfere eteree in cui si insinuano melodie di tastiera a mettere in risalto determinati passaggi, senza trascurare comunque una buona dose di violenza nei growl cupi.
L’album inizia con A Colorless Entity, traccia mastodontica di 17 minuti che offre già il meglio dei Vacant Eyes. Dolorose chitarre soliste entrano in scena, dipingendo l’immagine di una desolata terra e infiniti cieli freddi e grigi. Affascinanti note di pianoforte e voci gutturali si uniscono alla carica sonora, con le doppie armonie di chitarra che creano melodie pazzesche. Leggiadri i passaggi di pianoforte che sembrano evocare un oscuro incantesimo, il quale culmina in una vera tempesta.
La seconda A Timeless Vault dura poco meno di nove minuti. Chitarre oppressive guidano la carica qui. Il piano è alternato a voci vili, fornendo elementi di speranza e disperazione. Quando la batteria si alza di intensità, il suono diventa minaccioso, con la chitarra solista che fornisce note che si sollevano alte nel cielo, producendo un’atmosfera plumbea. Un mood simile agli Insomnium, ma decisamente con un timbro più oscuro.
Induced Desolation si apre con chitarre pesanti che si affiancano a voci gutturali basse e lente. La pura oscurità in questa canzone è difficile da aggirare, anzi, riuscirà a coinvolgere l’ascoltatore in tutta la sua durata inghiottendolo nella disperazione più totale.
Apparitions of Existence si apre con inquietanti note di chitarra che creano un’atmosfera di sottofondo fredda e ammaliante. L’ambiente diventa definitivamente nefasto quando arriva la voce, con anche la batteria che riprende un po’ di velocità. Dopodiché, alcune note di pianoforte raccapriccianti si mescolano con la chitarra verso la metà del brano, nel segno della melodia e del doom più puro. An Essence of Anguish si apre con un lento groove, e ancora una volta le note del pianoforte si mescolano con le voci profonde del singer. All’inizio il suono si riduce alle note di chitarra solista, con la batteria che riecheggia dal fondo per diventare ancor più profondo e scuro e terminando di nuovo su un tono melodico.
L’atto finale è affidato a Into an Empty Dream, l’altra traccia monstre di 15 minuti. Si apre con un ritmo molto lento, con voci gutturali e note di chitarra lunghe e trattenute. Alcuni spunti solisti si mescolano intorno al terzo minuto, aggiungendo uno strato di stranezza alla canzone. La voce pulita intorno al segno dei nove minuti conferisce alla traccia una dimensione extra. La conclusione è una delle più disperate che si possano immaginare, ma allo stesso tempo onirica e trascinante, una delle migliori mai udite in un album funeral doom.
Quella dei Vacant Eyes è una musica complessa, intensa, sensazionale, che richiede un ascolto fatto di pazienza, attenzione e profondità: solo così si può riuscire a godere appieno questo album. Ci si trova, infatti, di fronte ad una musica che vive di stratificazione sonora, lenta, monolitica, ma con sprazzi di melodia che spezzano la densità e concedono respiro alle canzoni. Un doom dai tratti epici, una musica che affascina nella complessità, un album immenso che ci proietta in un’altra dimensione. A Somber Preclusion of Being è il lavoro che ha dato un valore aggiunto al funeral doom, è un album sensazionale, un’opera incredibile che merita di essere contemplata nella sua essenza.