Second to Sun – Leviathan (2020)
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PRESENTAZIONE | Leviathan (2020) è l’ottavo album nella prolifica carriera dei russi Second to Sun. |
GENERE | Continua la tendenza del precedente Legacy (2019) nel puntare di più su un black metal dalle tendenze “post”. Il lato più groove è invece meno presente, sostituito da venature death e di altro tipo: il tutto in uno stile aggressivo ma anche con un buon lato melodico. |
PUNTI DI FORZA | Uno stile non solo personale ma ben curato sotto ogni punto di vista, dall’impatto alle melodie passando per le atmosfere. È l’origine di una scaletta dal livello medio elevato, ben più che negli album precedenti. |
PUNTI DEBOLI | Una certa mancanza di hit, qualche sbavatura qua e là. |
CANZONI MIGLIORI | I Psychoanalyze My Ghosts (ascolta), Shaitan (ascolta), Marsch der Wölfe (ascolta) |
CONCLUSIONI | Con Leviathan, i Second to Sun tornano a far sentire la classe che aveva reso un capolavoro il quinto album The Black (2018). Seppur non arrivi a quei livelli, si rivela un ottimo album: può fare felici i fan del black alla ricerca di qualcosa che non sia banale! |
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Se segui con assiduità Heavy Metal Heaven, forse anche per te i russi Second to Sun saranno una vecchia conoscenza. In questi ultimi anni, abbiamo recensito ben tre album di questa band nata a San Pietroburgo, che si è rivelata essere molto prolifica. Una prolificità però non del tutto giustificata: se infatti il quinto album The Black era un gioiellino, i successivi The Walk e Legacy si segnalavano per un declino in fatto di idee, soprattutto nel caso del secondo. Già nella recensione di quest’ultimo album, manifestavo perciò molti dubbi sull’eccessiva frenesia compositiva dei Second to Sun: mi sembrava poco sensata, se non altro perché li stava portando su una strada poco degna delle loro capacità. Anche questo è il motivo per cui ho reagito con una totale perplessità quando ho saputo che i russi avevano pubblicato un altro lavoro. Eppure, con gli ascolti mi sono dovuto ricredere: Leviathan, ottavo album nella carriera dei Second to Sun uscito autoprodotto lo scorso 27 settembre, è un lavoro con diverse cose da dire.
Da un lato, parliamo di un disco che a livello stilistico procede nell’evoluzione già intrapresa dai precedenti. Rispetto a essi, Leviathan è ancora più puntato sul solo black metal, mentre il groove che all’inizio era preminente nella musica dei Second to Sun ora rimane solo in alcune influenze residue. Stavolta inoltre anche il lato post-black è più ridotto: sempre presente, tende però a nascondersi di più. I russi puntano piuttosto sull’impatto e sull’aggressività. Merito non solo del solito scream alto e terrificante di Gleb Sysoev, che dà sempre personalità al suono del gruppo, ma anche del fatto che Leviathan mostri qualche influsso death, prima di ora inedito per i Second to Sun. Tuttavia, non mancano le belle melodie, come anche atmosfere ben studiate: stavolta, la band ha curato tutto a dovere. Il risultato è non solo personale come il gruppo è sempre stato, ma anche ottimo: ancora non sarà sui livelli di The Black, ma neppure sfigura nel confronto. E se nella scaletta c’è una lieve mancanza di hit, con pochi pezzi che fanno gridare al miracolo e pochi spunti che spiccano in relazione alla durata, non è un problema grave. Anche così, Leviathan rimane un ottimo lavoro, in cui i Second to Sun tornano a mostrare ciò che davvero sanno fare!
Eerie parte da un intro all’inizio solo di rumori; poi però ne emerge un arpeggio pulito ma sfilacciato, di gran desolazione. Sembra l’inizio di un lento crescendo, ma dopo un minuto all’improvviso il metal esplode fragoroso, oltre che martellante a livello ritmico. Anche questa situazione però non dura molto: presto la musica svolta su qualcosa di più lento e strisciante. Tra lunghi momenti di black metal dimesso, decadente, di gran cupezza e brevi stacchi più duri, in cui il lato groove della band torna alla carica, è una norma lugubre, ma incisiva il giusto. Ciò che segue però è ancora meglio: col batterista Theodor Borovski che torna ad accelerare, ci ritroviamo di nuovo in una tempesta. Una tempesta di gran potenza, visto che il riff del leader Vladimir Lehtinen ha persino influssi thrash; non manca però una nota alienante, data dalle melodie delle tastiere. È proprio la melodia a prendere il sopravvento alla fine di questa breve escalation, in uno stacco che di nuovo torna a espandersi. Al centro c’è il lead lontano della chitarra: va avanti un po’, per poi farsi più concentrato quando il metal riparte con foga, retto dal blast beat. Il risultato è un ibrido quasi stordente, ma di impatto eccelso: va avanti a lungo in maniera ipnotica, prima che i Second to Sun abbraccino di nuovo qualcosa di più espanso. È così il turno di un’altra fase lenta e melodica, cupa ma non senza un certo calore, almeno all’inizio. Poi però la desolazione si fa strada, fino a raggiungere lidi quasi doom e quindi una nuova fuga come quella iniziale, rabbiosa e fredda. È un’impostazione che poi regge anche in seguito, quando il pezzo rallenta: nonostante una melodia che aggiunge un tocco di malinconia, la voce di Sysoev e un riff aggressivo rendono l’intera parte truce, graffiante. Un po’ di calma torna solo nel finale, che vira con forza verso un certo pathos: merito di Lehtinen, che crea un fraseggio ottimo su un ritmo scomposto, quasi prog. E così, dopo oltre otto minuti di alti e bassi, la traccia si spegne in un outro che ricalca più o meno il preludio. Avanza un altro minuto, fino a portare a chiusura un’opener ambiziosa coi suoi oltre nove minuti, ma ben riuscita: per un disco come Leviathan non c’è male!
Con Marsch der Wölfe, i Second to Sun giocano su terreni più semplici rispetto alla precedente. Un inizio lento e lugubre, da tipico black metal, poi la traccia entra nel vivo, ma senza strappare: il tempo con cui Borovski la regge anzi è sempre medio, cadenzato. È su questa base che si alternano due diverse anime: una è cupa ma al tempo stesso carica a livello emotivo. L’altra invece è più classica da black: con vortici ritmici inquietanti e il cantante che dà un tocco anche più ferale, orrorifico, hanno un gran impatto. È proprio questa ad avere il sopravvento all’inizio, tra momenti più dissonanti e altri in cui invece i russi mostrano un gran impatto. Poi però i giochi cominciano a farsi più aperti: all’inizio è giusto una lieve suggestione, ma sulla trequarti all’improvviso il nostalgico assolo di Lehtinen ripetitivo ma di gran efficacia, irrompe come un raggio di luce nel buio. È l’inizio di un finale davvero speciale, tra le tastiere spaziali e lontane, che donano un tocco di delicatezza in più, e un contorno fragoroso, cupo ma al tempo stesso vitale. Si rivela il momento migliore di un brano però valido in toto, a poca distanza dal meglio del disco! The Emperor in Hell inizia quindi con un breve preludio inquietante; pochi secondi, poi la ferocia del gruppo si scatena al massimo, col riffage che assume persino influssi death. Se può sembrare l’inizio di un pezzo macinante, è però un’illusione: di lì a poco, tutto ciò si spegne, per lasciare spazio a qualcosa di più aperto – e spettacolare. A dominare al suo interno sono sempre i fraseggi di chitarra e tastiera: a tratti un po’ in sottofondo, in altri frangenti però vengono fuori con forza. In una forma che ricorda addirittura il power metal, sono lacrimevoli, ma in una maniera riuscita. Il loro principale pregio è tuttavia lo scambio con l’altra anima, un contrasto che ancora una volta i Second to Sun congegna in maniera ben fatta. Degne di nota anche le variazioni, come la fase centrale, con un vago retrogusto in parte punk, in parte addirittura gothic, nel suo essere al tempo stesso melodica e solida. Ottimo anche il finale, in cui i turbini solistici si fanno quasi epici: un altro bel passaggio per un altro ottimo pezzo, che non sfigura in Leviathan, anzi!
I Psychoanalize My Ghosts inizia strana, spiazzante, col suo riff quasi black ‘n’ roll a cui però si uniscono tastiere cosmiche, alienanti. È una base che, con qualche variazione, va avanti a lungo, a tratti ossessiva come nel black atmosferico; solo a volte, nella sua durata, spuntano momenti battenti, che ricordano da lontano l’industrial metal. È un’impostazione strana, ma che colpisce bene, in una maniera subliminale e ipnotica. Merito anche delle varie venature sintetiche, un valore aggiunto anche più che nel resto del disco. Lo si sente sia nella norma, sia al centro, dove rende etereo un passaggio più lento ma sempre ritmato, tanto da ricordare, seppur da lontano, addirittura i Rammstein. Ottima anche la parte che segue: prende il via da questa impostazione e scappa col blast beat, ma anche con un seme di profondità. Un seme che poi germoglia, in una chiusura rumorosa ma al tempo stessa lancinante, di disperazione davvero incisiva, sia a causa dello scream doloroso di Sysoev che delle melodie alle sue spalle. È un vortice che tocca un apice e poi, con lentezza, comincia a scemare. È il finale perfetto di un pezzo davvero stupendo, il picco assoluto di Leviathan insieme a Shaitan, che però ha un’anima del tutto diversa. La si sente sin dal principio, quando i Second to Sun ripartono con un blast beat a reggere un brano incazzatissimo, con tanto macinare e poco spazio per le melodie: tornano solo a tratti, preoccupate. Il resto lo fa invece il riffage di Lehtinen, con influssi death e anche il ritorno del groove: quest’ultimo tra l’altro si prende la scena al centro. All’inizio grasso, potente, ricorda l’incarnazione anni novanta del genere, ma poi le dissonanze black tornano con forza per un ibrido strano, alienante, ma efficace. Lo stesso si può dire per la sezione che segue, schizofrenica tra tecnicismi, momenti scomposti, passaggi di influsso thrash e tanto altro. In ogni caso, si integra bene nel tessuto della traccia; lo stesso vale per il finale, che all’improvviso si apre. Si apre allora un ambiente etereo, melodioso, di gran spessore emotivo, che prosegue anche quando la musica accelera, un breve vortice di gran impatto emotivo. A parte una coda brevissima che torna all’inizio e poi sparisce in fade, non c’è altro in un brano davvero magnifico, come già detto il picco dell’album col precedente!
The Engraving of Gustave Doré lascia il metal per spostarsi su un ambient molto inquietante. La base di lievi tastiere è molto ridondante, ma il tutto viene animato da urla spaventose, per metà umane, per metà quasi animalesche. Niente male a livello di impatto oscuro, ma il tutto va avanti forse un pelo troppo. Soprattutto, dopo la potenza che anche i pezzi più lenti avevano avuto finora, questa espansione un po’ ammoscia questo frangente del disco: per fortuna, non lo fa troppo. Anche così, parliamo di un pezzo tutto sommato godibile e di buon livello. Con Leviathan, quindi, i Second to Sun tornano subito al metal, da un attacco, macinante ma stavolta poco incisivo nella maniera in cui il disco ci ha abituato finora. Per fortuna, la band di San Pietroburgo ci mette poco a risollevarsi, e alla grande: un breve interludio ambient ancora sinistro, poi ci ritroviamo in un ambito molto più melodico. Come al solito, il gruppo è abile a evocare emozioni, cosa che fa non solo lungo queste aperture. Anche nei momenti più vorticosi che tornano a spuntare a tratti viene fuori la giusta musicalità: li rende taglienti il giusto, di solito. Se qualche momento sterile a tratti si ripresenta, di norma il pezzo incide bene in entrambe le anime. È però quella più lenta a calamitare l’attenzione: lo fa soprattutto nella fase centrale , davvero deliziosa con la sua melodia ricercata. Non male anche la chiusura, all’inizio sempre cupa, pur rallentando in una maniera che la rende anche dimessa, per poi spegnersi del tutto. Ma il pezzo non è finito: c’è spazio ancora per una lunga coda mogia, crepuscolare, gestita dalle tastiere e dal basso di Maxim: Nel complesso, abbiamo un pezzo non eccezionale ma in fondo non male: nell’album omonimo non sfigura troppo.
Black Death, Spirits and Werewolves è un altro interludio ambient, stavolta più breve col suo minuto abbondante. All’inizio ci sono solo suoni ambientali, a cui verso metà si sovrappone una melodia sintetica vintage, da vecchio film anche per sonorità. È tutto qui un frammento che non ha funzioni, se non introdurre November; in generale, però, la mia idea è che i Second to Sun potessero evitarsela, qui spezza eccessivamente Leviathan senza in cambio alcun beneficio. Del resto, non che la già citata closer track di Leviathan faccia una figura molto migliore: se l’attacco è bello potente, con un influsso doom poco nascosto nel riff di Lehtinen, col tempo tende parecchio a perdersi. La sua struttura cambia spesso, a volte in maniera repentina: momenti black truci ma lenti si alternano con fughe rabbiose e passaggi meno dinamici ma riottosi. Il tutto però stavolta non è studiato molto bene: se la gran parte di questi momenti incidono a dovere, specie per oscurità, a tratti la loro unione suona un po’ forzata. La linea principale è data dalla cupezza, ma per il resto manca una vera e propria direzione. Non aiuta poi una durata abbastanza ridotta e soprattutto l’assenza quasi totale di quelle melodie allucinate che i russi di solito sono così bravi a proporre. C’è uno spunto del genere al centro, ma neppure troppo riuscito; per il resto, nulla nel brano riesce a brillare. Nonostante qualcosa di buono in fatto di atmosfera e potenza, il risultato finale è gradevole e basta, di livello solo discreto. Il che ci regala il punto in assoluto più basso del lavoro che chiude, purtroppo!
In definitiva, come già detto all’inizio Leviathan non è al livello di The Black, ma non si pone troppo distante. Di certo, è un lavoro al di sopra dei due precedenti per qualità, grazie al suo ottimo livello qualitativo. Certo, forse i Second to Sun possono fare ancora di meglio, come dimostra il suo illustre predecessore, ma non è un buon motivo per sottovalutare quest’album. Se ti piace il black metal e sei alla ricerca di musica non banale, è anzi oro puro: per questo, ti consiglio di dargli almeno una chance!
1 | Eerie | 09:22 |
2 | Marsch der Wölfe | 05:15 |
3 | The Emperor in Hell | 05:46 |
4 | I Psychoanalyze My Ghosts | 05:26 |
5 | Shaitan | 05:52 |
6 | The Engraving of Gustave Doré | 03:33 |
7 | Leviathan | 08:02 |
8 | Black Death, Spirits and Werewolves | 01:15 |
9 | November | 04:46 |
Durata totale: 49:17 |
Gleb Sysoev | voce |
Vladimir Lehtinen | chitarra e basso |
Maxim | basso |
Theodor Borovski | batteria |
ETICHETTA/E: | autoprodotto |
CHI CI HA RICHIESTO LA RECENSIONE: | Clawhammer PR |