Unlock è il terzo album degli italiani Rainbow Bridge, band nata come tributo allo stile inconfondibile degli Jimi Hendrix Experience (e affini). C’è molto di quel sound anche nel lavoro più recente, anche se il trio ha elaborato una propria interpretazione che prova a sganciarsi da quella più classica pur rimanendo nei suoi canoni.
In un contesto sonoro che a tratti si unisce anche allo stoner e al blues, l’hard rock proposto in Unlock è figlio di una produzione selvaggia e liberatoria che non si preoccupa di andare troppo per il sottile. La proposta stilistica messa a punto dalla band trasmette energia pura: un concentrato di adrenalina in grado di scuotere anche l’ascoltatore più impassibile. Non sempre si riesce ad intuire se l’intenzione dei pezzi sia quella di ricercare una nuova strada (servendosi di espedienti compositivi sperimentali o generalmente poco utilizzati) o semplicemente trovare una valvola di sfogo in delle sonorità piuttosto aggressive. Forse neppure i Rainbow Bridge si sono posti il problema in fase di scrittura, ma sta di fatto che il disco risulta essere robusto e propositivo anche nel suo innegabile citazionismo nostalgico. Forse la grande lezione che si può trarre dall’album preso in esame oggi è proprio questa: se la vostra band si ispira fortemente al passato, assicuratevi che nel portare alla luce un’opera originale venga fuori l’essenza più profonda della passione per i suoni che hanno fatto grande la musica. All’alba del terzo lavoro è possibile affermare -sempre con qualche doverosa riserva- che questi brani suonano effettivamente da Rainbow Bridge e il gruppo è ormai pronto a proseguire sulla propria strada operando delle scelte sì reverenziali, ma anche personali e di spessore.