Il progetto What the Hell prende vita in terra elvetica nel 1994. Gli esordi della band sono nettamente influenzati da Pantera e Machine Head; il groove metal è il loro marchio di fabbrica. Un suono potente e diretto gli consente di farsi spazio facilmente e di inserirsi in breve tempo in un interessante circuito live, la loro dimensione ottimale, che non tarda tuttavia a regalargli soddisfazioni, tra le quali l’ apertura per un concerto dei Sepultura.
Nel 2005, la band cambia strategia; Michi Seelhofer si dedica totalmente alla voce, lasciando il ruolo di bassista a Michael Fanni. Il cambio di line up comporta inevitabilmente un cambio sia nell’ approccio stilistico, che nell’ approccio live, ma questo non scalfisce per niente il combo, che continua a macinare strada e a proporre senza compromessi materiale sempre nuovo.
Il curriculum del gruppo, oltre all’ intensa attività live, vanta un denso lavoro in studio, che li ha portati, ad oggi, al loro quinto lavoro ufficiale; Breathing.
Se non fosse per la storia che hanno alle spalle, quasi tre decadi di sano metal portato avanti con coerenza ed innata attitudine, che gli ha permesso di rimanere indenni e ben saldi al loro posto per tutti questi anni; direi che oggi ci troviamo di fronte ad un gruppo che si è voluto prendere una pausa per esplorare qualcosa di nuovo, o forse qualcosa di più affine alla propria anima.
Breathing non è proprio come ascoltare un vecchio lavoro dei What The Hell, quel sound aggressivo e diretto non viene qui riproposto, non c’ è groove metal, ma se dovessi analizzare il disco alla Marzullo, mi chiederei: siamo sicuri che c’ era totalmente metal in quei lavori passati? Certo, il genere era prettamente quello, forse però, dopo aver ascoltato Breathing, riesco a percepire delle venature indie rock anche in quel sound del passato, come se per 30 anni avessero tentato di prepararci a questo lavoro.
Non sono affatto negativo nei loro confronti, il disco va approcciato lentamente, assaporandone la filosofia che ne cela. Si autodefiniscono un gruppo senza fronzoli, diretto e rock. Quest’ ultimo lavoro, però, tradisce la loro natura.
Qui non si tratta di imbracciare un mitra a 6 corde e sparare riff a raffica, c’è quasi un lavoro di introspezione. Certo, non voglio sopravvalutare un disco che probabilmente ha meno ricerca di quello che in realtà io pensi, ma non vorrei nemmeno sminuirne il potenziale, che probabilmente è quello di una band con una solida storia alle spalle e che quindi si presume sappia cosa stia facendo.
Scordatevi quindi velocità, violenza e rabbia, e preparatevi ad assaporare atmosfere desertiche, melodie lisergiche e riff grunge/southern, perché questo è Breathing. Un omaggio a band che portano il nome di King’s X, Kyuss ed Alice in Chains.
Nessuna maschera, quindi, e nessuna voglia di fingere, il gruppo propone dei brani che sembrano quasi delle cover da quanto ne ricalcano il sound.
Una strada impervia, strana per una band di questo livello, ma stranamente li ho trovati più artificiosi nei vecchi lavori, e molto più a loro agio nel proporre questo tipo di sound.
Avranno deciso di svoltare totalmente in questa direzione? Li rivedremo abbigliati con spesse camicie di flanella? Oppure è stato solo un esperimento? Se dovessi consigliare loro una strada , li indirizzerei su questa via, ovviamente un po’ d’ innovazione non guasterebbe, il grunge nel 2021 ha poco senso come genere da riproporre, ma credo che abbiano la capacità e l’ esperienza giuste per sapere come procedere e, forse, a questo punto della loro carriera, non credo sentano la necessità di dover dimostrare chi siano.